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La grande partita

Regia di Edward Zwick vedi scheda film

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La recensione su La grande partita

di alan smithee
8 stelle

Edward Zwick (Glory, Vento di passioni, Attacco al potere, L’ultimo samurai, Defiance ed altro ancora) non è mai stato, a mio giudizio, una garanzia di freschezza d’emozioni e di purezza di sguardo cinematografico; al massimo, da affidabile mestierante e lodevole esecutore di ordini, forniva la sicurezza di un prodotto finito a medio-grande budget, ravvivato quasi sempre dal richiamo di star di prima scelta e da una certa roboante costruzione scenografica tipica del “filmone” da spazi aperti e grande azione.

Con questo interessante, accurato e molto teso Pawn Sacrifice, storia vera della sfida tra un ragazzo prodigio degli a scacchi americano ma di origini russe, ed il suo più illustre rivale russo nell’ameno e neutrale territorio islandese, cambiamo completamente, seppur solo temporaneamente, opinione su di lui.

La storia inizia negli anni ’60, in pieno clima ostile di guerra fredda tra le due superpotenze nucleari: atmosfera che da una parte accentua l’antagonismo della sfida, facendo divenire la contesa come la conferma della supremazia di una potenza sull’altre, mentre dall’altro accrescendo le fobie che già riempivano la mente brillante, ma anche un po’ labile, del giovane scacchista, di origini ebree e russe, e nonostante ciò fieramente oppositore dell’una e degli altri.

Il film ci racconta della nascita di un mito, della sua crescita a suon di sfide verso avversari sempre più quotati, fino a raggiungere le potenzialità di un leader della disciplina….e a raggiungere il traguardo della sfida al più grande campione di tutti i tempi, l’affascinante e riveritissimo Boris Spassky. Lo scontro tra le due menti eccelse è diretto con gran perizia, come tutto il film in generale, che alterna momenti di narrazione a finti filmati d’epoca con estrema perizia. Lo scontro finale è tesissimo e si complica per il comportamento bizzarro e le fisime maniacali che inizia di punto in bianco ad assumere il giovane campione americano, affetto sempre più – colpevole lo stress e la tensione – da una forma maniacale che lo spinge a sospettare di essere oggetto di una congiura ordita dal contro spionaggio e dai servizi segreti.

La regia accurata ed efficace non è il solo merito del film, che trova nello sguardo folle ed ispirato diel grandissimo Tobey Maguire, l’interprete perfetto per rendere l’eccentricità folle e geniale di un personaggio realmente esistito. Il suo sguardo nel terrore, l'occhio sgranato che traduce lucida follia, la concentrazione turbata dal minimo rumore o cenno immaginato, escono dalla mimica di Maguire, dal suo volto interessante e un pò butterato, in modo straordinario, dando alla sua performance un tocco fondamentale che diventa uno dei pregi più evidenti della pellicola.

Lo coadiuva egregiamente un Liev Schreiber affascinante e pericoloso come si conviene, che si dimostra molto più leale e corretto di quanto ognuno potesse umanamente ipotizzare.

Per Maguire la nomination all’Oscar sarebbe (stata, visto che il film è datato 2014) opportuna.

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