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La grande partita

Regia di Edward Zwick vedi scheda film

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La recensione su La grande partita

di maurizio73
4 stelle

Edward Zwick si cimenta in un biopic convenzionale e patetico che scimmiotta il genio disturbato alla Beautiful Mind e filtra la verità storica sulle ossessioni maccartiste attraverso la lente deformante delle edulcorazioni hollywoodiane.

Figlio di una immigrata ebrea separata dal marito e sospettata di attività antiamericane, il giovane Robert Fisher cresce nella Brooklyn degli anni '50, imparando da autodidatta a giocare a scacchi e sviluppando una personalità introversa ed eccentrica. La sua abilità nel gioco lo porta ben presto a competere con i più grandi maestri del suo tempo ed a scontrarsi in una celebre finale islandese per il titolo mondiale con il campione russo Boris Spasskij: storico corollario sportivo di una Guerra Fredda che contrapponeva i due blocchi su tutti i fronti possibili.

 

locandina

La grande partita (2014): locandina

 

Assai incline all'epica nazionalista da esportazione (The Last Samurai) piuttosto che alle rivisitazioni belliche non esenti da retorica (Glory), il regista Edward Zwick si cimenta in un biopic convenzionale e patetico che scimmiotta il genio disturbato alla Beautiful Mind e filtra la verità storica sulle ossessioni maccartiste attraverso la lente deformante delle edulcorazioni hollywoodiane. Ciò che ne risulta è un racconto agiografico, didascalico ed edificante, particolarmente sbilanciato sul versante delle ragioni familiari (una madre single, ebrea e filocomunista) e di quelle politiche (la CIA come balia-ombra di un ragazzetto geniale che segue dalla culla alla tomba) che avrebbero contribuito alla personalità di uno dei personaggi più eccentrici e controversi della cultura sportiva americana, riconducendone peripezie e contesto storico ad una messa alla berlina di un clima di sospetto e di delazione che non manca però di prendersi troppo sul serio.
Se la vera domanda posta dal film è chi era veramente Bobby Fisher al di là del mito, la semplificazione furbetta della comedy-drama dal sapore paratelevisivo e le accattivanti mossette di un Tobey Maguire dagli occhi perennemente spiritati, non aiutano certo a fare chiarezza sulla vicenda, presentandoci ora la verosimiglianza di un'attenzione governativa molto 'particolare' (compresa la famigerata telefonata di Kissinger) ora gli inquietanti risvolti di una psicologia geniale e sregolata che potrebbe in realtà aver frainteso tutto. Non ostante una volontà di attenta ricostruzione cronologica delle vicende, la narrazione appare abbastanza disorganica e confusionaria, alternando ora un registro di divertita ironia ora le cupe ossessioni di una mente che si ritrae impaurita nello sconfinato universo del calcolo combinatorio e finendo per avanzare pretestuosamente una personale teoria sulle bizzarre fissazioni del suo protagonista. Film sull'affascinante ma poco telegenico mondo degli scacchi, dove non si vede una mossa che sia una (al limite le si sente declamare attraverso i codici da battaglia navale utilizzati dai giocatori) ed in cui le schermaglie mediatiche di una guerra ideologica durate oltre mezzo secolo sono derubricate alle ridicole dispute sul pedone (o sul giocatore) da sacrificare.
Tobey Maguire vivace e puntiglioso è comunque molto distante dal personaggio che deve interpretare; va meglio per l'ecumenico William Lombardy di Peter Sarsgaard e per la più azzeccata coincidenza fisiognomica tra Boris Spasskij e quella spia dormiente nata che è Liev Schreiber (The Candidate).
Presentato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival 2014, ha goduto di un'accoglienza critica incredibilmente favorevole pur non rifacendosi neanche delle spese al box office.

 

"Questo gioco è...una tana di coniglio. Dopo sole quattro mosse ci sono 300 miliardi di opzioni da considerare. Ci sono più partite da 40 mosse che stelle nella Galassia. Quindi si può arrivare pericolosamente al limite".

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