Regia di Tarsem Singh vedi scheda film
L’immortalità? Esiste, ed è un bene di lusso. L’occasione, promossa da un medico in assoluto segreto, si chiama “muta”. E non conta che Damian sia malato di tumore al cervello: è come un trapianto di anima. Da Ben Kingsley a Ryan Reynolds, corpo sfinito, involucro sano. Ma l’altissimo costo, si scopre, non è solo in denaro. La nuova carne non è cucita da sarti dell’industria genetica, è il corpo di un morto, Martyrs: un soldato, che s’è venduto per curare la figlia. Self/Less si basa su una semplice legge economica: al privilegio dell’1% corrisponde il sacrificio della nuova schiavitù. Punto. E il punto è nell’ignorare la questione, preservare lo status quo, garantire l’iniquo equilibrio sociale. Non vedere le interferenze d’ingiusto nel flusso edonista di immagini. Per questo ci sono pillole che cancellano il sopruso, la droga che perpetua la cieca ideologia. Damian si sottrae, il sistema reagisce. Tarsem Singh abbandona la sua tronfia estetica kitsch nella casa d’oro del protagonista, e cerca l’efficacia spartana del cinema B: ne esce uno sciatto intrattenimento che barcolla malrecitato sulla strada dei colpi di scena, ma che resta struggente nel proporre alla società del facile oblio il bisogno (letterale e radicale) di farsi carico dei morti, delle loro storie, facendo spettacolo pop e triviale del cruccio morale di tanta alta letteratura, da José Saramago a Winfried Sebald, fino a Javier Marías.
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