Regia di James Wan vedi scheda film
Il cortocircuito realtà-finzione - inevitabile, attesissimo - legato alla dipartita di Paul Walker produce, alla fine, una comoda moscia postilla appiccicata al film del tutto slegata dagli eventi. Un'ultima breve corsa con il compagno fraterno Dom, poi un simbolico bivio divide le strade dei due; mentre un fugace collage di immagini del biondo attore tratte dai precedenti episodi - in teoria le più significative, in pratica la modalità è random - si dissolve fino ai titoli di coda.
Banalmente, la sequenza più autentica delle due ore e passa di Fast & Furious 7 (ma giocando facile). Megashow pericolosamente "michaelbayiano" (no, non è un complimento), l'ultimo capitolo diretto dal James Wan di Saw e The Conjuring: nella putrefazione del senso (dei sensi) dell'opera, nell'anima svuotata di qualsiasi connotazione emozionale che non sia violentemente sbattuta in faccia (e dalla durata limitata al minutaggio), nella piatta standardizzazione dei valori in campo, nella palese noncuranza per quello che raccontano e per come lo fanno.
E per l'idea dello "spettacolo": puro sciocco ammasso qualunquista di riprese e inquadrature epilettiche, di velocissimi/voracissimi spostamenti della mdp in cui regnano sovrane confusione e assoluta condizione di apatia (dello spettatore, costretto a subire la qualunque), di "grandiosi" boriosi effetti speciali e affetti ancor più speciali continuamente dichiarati, spiegati, flashbackati, raccordati, supereducati.
Par quasi che ci siano più battute e situazioni nelle quali si beatifica "la famiglia" che pallottole. O corse di velocità. Altro che fast, altro che furious. La stucchevolezza sentimental-familista (fattasi via via con i vari capitoli sempre più marcata) è tale da rendere Dom Toretto un orsachiotto di peluche: o spara in loop sentenze sulla sacralità dei legami oppure lo puoi scagliare ovunque - e contro qualsiasi cosa, elemento della natura, e far precipitare da montagne e da edifici mentre esplodono eccetera - senza che si faccia alcunché.
Insomma, noia mortale. Colpa anche di uno script da denuncia penale: ok, è intrattenimento, però la misura è colma: tutto - ma proprio tutto - è oltre, eccessivo, assurdo, inverosimile all'ennesima potenza. Potrebbero andare avanti all'infinito, di questo passo: la parola d'ordine è stupire, o forse stuprare quel minimo d'intelligenza ancora in funzione nel buio della sala per prodotti come questi. La prossima volta magari con le loro auto giungeranno direttamente sulla Luna, chissà ... E senza il benché vago sentore d'ironia, oltretutto, a meno che non si voglia spacciare per tale le (nient'affatto divertenti) uscite da giullare (così lo definisce peraltro una new entry) del personaggio interpretato da Tyrese Gibson.
Storia ridicola che si sviluppa in maniera ridicola (e lasciamo stare le pretese da "continuity", vista la misera relazione con il terzo capitolo, l'oggetto alieno The Fast and the Furious: Tokyo Drift); con il grave, gravissimo peccato di disinnescare quasi sul nascere la figura del cattivo di turno: questi (Jason Statham), il fratello vendicativo dell'Owen Shaw della sesta puntata, già poco interessante di suo (e figurarsi se non sapeva di stra-stravisto), sbuca dal nulla in ogni situazione senza nessun senso (né nessuna intenzione di averlo, d'altronde).
Per come viene maltrattato il personaggio, e per la molesta dimensione supereroistica raggiunta da Toretto (e stendiamo un velo pietoso su The Rock), viene naturale tifare per il tizio (Statham da caratterista funziona eccome). Finirà male, ovviamente (ma non schiatta ... ci sarà all'ottavo appuntamento?).
Come male finiscono le "guest star" (compreso il cameo insulso di Iggy Azalea: apperò!): Kurt Russell, buttato lì un po' a caso un po' come capita un po' per far bella figura (data l'immortale icona che rappresenta), ha il suo momento più alto quando disquisisce di birra con Toretto (con quest'ultimo che a una belga preferisce la Corona! Fatelo schiantare contro un tir di letame, per favore). La tosta Rounda Rousey la sprecano (pure in termini estetici) in un prevedibile mini-fight con Michelle Rodriguez che avrebbe meritato ben altra sorte ... Lo stesso vale per il funambolico Tony Jaa: un paio di scene nel quale deve limitarsi contro un avversario decisamente inferiore (Walker) compiendo spettacolari acrobazie alquanto inutili.
Infine, nel ruolo di una hacker salvata dai nostri ed in costante pericolo, la magnifica Nathalie Emmanuel, la Missandei di Game of Thrones: giusto l'inquadratura fissa mentre esce dall'acqua in bikini vale il prezzo del biglietto (e nient'altro) ...
In definitiva, un film davvero brutto e fastidioso che serve solo ad ingrossare la ricca saga, in pericolosa involuzione: le idee latitano, il riciclo è una necessità, la dimensione raggiunta uno status a cui è difficile (impossibile) rinunciare. Avanti così.
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