Nira, insegnante in una scuola materna israeliana, amante dell'arte e della poesia, che ascolta e pratica attraverso un circolo culturale frequentato ogni tanto la sera, si imbatte un giorno in uno dei suoi piccoli alunni, mentre questi decanta un piccolo poema che gli nasce sul momento, un'estasi creativa che prende il piccolo come in un torpore, quasi trasportandolo in una diversa dimensione: uno stato quasi ipnotico che induce il bambino a pronunciare, a soli cinque anni di età, parole, pensieri spesso complessi che descrivono situazioni o stati d'animo normalmente del tutto sconosciuti o impossibili da percepire per un esserino di quell'eta'.
Fermamente convinta di avere dinanzi un nuovo "Mozart della letteratura", la donna si concentra sul quell'alunno così fuori dal comune, fino a solo poco prima uno fra i tanti, ora un fenomeno o un prodigio della natura, e lo incita a tirar fuori nuove riflessioni e poesie, che essa stessa annota ogni qual volta il bambino viene colto dall'ispirazione, cominciando per questo a camminanre avanti e indietro come per meglio riuscire a tirar fuori quelle parole imprigionate dentro se stsso in chissà quale modo. Una vera e propria missione/ossessione da parte della donna, che arriva ad utilizzare le composizioni del bambino alle sedute culturali per verificare in quale misura esse piacciono anche ad altri, e finendo anche per prendersi la responsabilita' della paternità di quelle ardite quanto ispirare creazioni poetiche.
Ma quando il padre del bambino, unico riferimento per il giovane dopo che la madre e moglie li ha abbandonati per andare negli States, viene a sapere di questa quasi morbosa attrazione da parte dell'insegnante per le attitudini cosi' spiccate del figlio, questi preoccupato cerca di isolarlo dalla donna, spingendo quest'ultima a venire allo scoperto ed esplicitando fino quasi al dramma, questa sua tormentata ossessione, fine unico ed esclusivo ormai del suo essere docente.
Ed è' davvero bravo il regista Navad Lapid a rendere tesa e quasi morbosa l'attenzione verso questa sua storia che cresce e si avvita verso una soluzione tipica da thriller dell'ossessione, dello squilibrio mentale. Cosi' come appare altrimenti sicura la sua direzione, forte di splendide inquadrature ad altezza bimbo non nuove ma potenti, che portano al centro il bel volto dall'occhio ceruleo della tormentata protagonista o del suo bellissimo angelo ispiratore, tagliando di netto ma con grande eleganza corpi od oggetti che invece potrebbero in un altro modo o piu' tradizionalmente condividerne e completarne l'inquadratura (la locandina molto efficace spiega tutto ciò in modo esemplare).
"L'institutrice", questo il titolo con cui viene distruibuito in territorio francese il film, lodatissimo dai severi ed intransigenti Cahiers du cinema, si trasforma, verso il suo strampalato, americaneggiante ma anche inevitabile epilogo, in un thriller con una fuga, dove l'oggetto prezioso (questo è divenuto alla fine quello splendido bambino prodigio) viene portato via ad un padre ricco e pieno di impegno che non puo' capirlo ed apprezzarlo quanto sarebbe lecito, finendo così per disperdere una ricchezza immensa a cui la natura o un dio ha dato forma, verso un destino che e' comunque impossibile da raggiungere.
Il bislacco rapimento termina tra le atmosfere leggere e ridanciane dei giochi in piscina presso un lussuoso ma anonimo resort di Eilat, tra le musiche fatue e inconsistenti, ma piacevoli per la massa informe che li circonda, di Miranda e del suo "Bailando bailando", hit travolgente e spensierata di almeno 15 anni orsono. E quando la donna si rendera' conto, grazie all'intervento saggio e calibrato del bambino che la blocca in bagno, della follia inutile del suo gesto, in quel momento il suo decidere di farsi arrestare sara' forse piu' un segno di orgoglio che di resa, per rendere evidente al mondo le ragioni e l'importanza che la poesia, se compresa e coltivata, puo' comportare alleviando e consolando stati d'animo turbati, contribuendo a regalare piccoli preziosissimi istanti di serenita' e stupefatta meraviglia.
In barba alle regole canoniche di una famiglia comunque compromessa e non più in grado di dare amore e sicurezza ad un gioiello di ispirazione ed intelligenza come quel biondo bambino prodigio.
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