Regia di Alice Rohrwacher vedi scheda film
Barbarie. Un concetto dai contorni sfumati, sospeso tra il carattere rozzo della natura primordiale e gli eccessi disumanizzanti della civiltà moderna. L’infanzia e la femminilità sono le sue vittime predilette, delle quali si nutre da sempre, nelle favole che si raccontano ai bambini, nelle leggende tramandate dagli antichi, nei miti creati artificialmente dalla società dei consumi. Dall’incubo atavico del padre padrone alla voracità sessista del voyeurismo mediatico, tutto concorre a fare della donna e della fanciulla il fragile oggetto di uno spettacolo che deve perpetuare il suo ruolo di incantevole servitrice, di maga che ammalia esercitando un potere solo apparentemente dominante. La realtà domestica descritta da Alice Rohrwacher, immersa nella campagna toscana di una ventina di anni fa, rispecchia l’ambiguità che, dalla notte dei tempi, impregna misteriosamente i valori ancestrali, dall’amore filiale alla fedeltà coniugale, dalla solidarietà con i propri simili alla volontà di lavorare duramente, per guadagnarsi il pane col sudore della fronte. La religiosità morale insita nella tradizione rurale è un universo pieno di chiaroscuri, come l’atmosfera tenebrosa delle caverne, come le figure in parte indecifrabili impresse sui reperti archeologici.
La famiglia protagonista della storia, la cui fisionomia tradisce l’origine etrusca, vive in quella zona di penombra in cui l’atavico attaccamento alla terra ed ai suoi frutti contrasta con le necessità della vita contemporanea, soggetta alle regole dettate dalla politica, dall’economia, e soprattutto, da quelle che vengono comunemente considerate le conquiste del progresso sociale, che ci costringono ad aprirci verso l’esterno, ad uniformarci alle esigenze di un mondo omologato, completamente sicuro, perfettamente igienizzato, garantito contro ogni contaminazione da parte del caso. In questa prospettiva ideale, diventare cittadini a pieno titolo comporta una partecipazione attiva alla vita della comunità che può spingersi fino alla disponibilità a farsi carico di una parte dei servizi che, di norma, spetterebbero alle istituzioni, come ospitare presso di sé persone bisognose di assistenza o di reinserimento. I contadini che producono il miele con le proprie mani ed allevano le api alla maniera di una volta, portando le api ai fiori (e non viceversa), si trovano così nelle condizione di mettere il proprio microcosmo a confronto con un universo globalizzato che risponde solo a criteri generali, senza tener conto delle piccole realtà individuali, fantasiose e ribelli, viscerali e poco previdenti. Credere nella tradizione può comportare una sorta di cecità, che fa procedere ad occhi chiusi, con l’arrogante irruenza di chi è convinto di essere dalla parte della ragione, e non teme dunque di compiere errori, né di incontrare ostacoli sul proprio cammino. Wolfgang si oppone ad ogni cambiamento con la stessa rude fermezza con cui si rifiuta di cogliere nuove opportunità, di seguire approcci alternativi che potrebbero sottrarsi al suo controllo. L’equilibrio, per lui, significa non abbandonare mai le posizioni acquisite, per quanto queste possano essere sbilanciate – vedi la sua sfacciata predilezione per la figlia maggiore – ed incompatibili con le leggi vigenti – vedi la sua ritrosia ad adeguarsi ai tempi. Sua moglie e le altre tre figlie, insieme alla ragazza che lavora alle sue dipendenze, sono la corolla variopinta e fremente che incorona il suo anacronistico autoritarismo con la grazia di una resistenza appena accennata, che solleva i bordi solo per farli ricadere, subito dopo, con una dolcissima e seducente remissività. Intorno alla disarmante ottusità dell’uomo, loro continuano a desiderare, a sperare, a sognare intonando, sottovoce, un canto che parla di meraviglie impossibili, a portata di mano, eppure proibite: poter indossare l’abito della festa, prendersi una cotta, essere libere, diventare le eroine di una fiaba televisiva. Le loro anime sono agitate dalla delicata tensione che le induce ad allontanarsi, ma senza troppa determinazione, dagli abusi della primitività, per avvicinarsi, con evidente timidezza, alle tentazioni dorate di un futuro che promette cose grandi e belle. Questo film descrive l’indugiante viavai che fa la spola tra due opposte utopie, separate dai millenni, ma unite dall’istinto. E lo fa con la fresca sensibilità di chi dipinge sulla scia di sporadiche intuizioni colte al volo, al ritmo di pennellate che sfiorano, come carezze, una tela ansiosa di scoprire nuovi colori.
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