Regia di Alice Rohrwacher vedi scheda film
CANNES 2014 – CONCORSO
Il secondo lungometraggio di Alice Rohrwacher ha inevitabilmente basi molto personali, al limite dell'autobiografico, ed è un film che osa sfrontatamente, anche a costo di esagerare e buttare tanta (sin troppa) carne sul fuoco.
La vita dura di campagna, che richiede sforzi e sacrifici in cambio dei mezzi di sussistenza appena sufficienti per sfamarti assieme alla famiglia, tutta adoperata a sua volta a contribuire alla raccolta e alla coltivazione. I legami tra due genitori caratterialmente molto diversi: un padre rude ma amorevole, capace di slanci di generosità sconsiderati e fuori tempo massimo (il regalo del cammello a Gelsomina); una madre più dolce, ma anche decisamente più realistica e razionale, elemento indispensabile per evitare sperperi e atti irrazionali da parte di un consorte impulsivo e nervoso. E infine quattro bambine/ragazze che si contendono, tramite innocenti sotterfugi, piccoli innocenti piaceri come dormire nel letto dei genitori senza che le altre tre lo sappiano e si uniscano a quella magia intima.
In questo contesto di vita dura e di pura sussistenza, ma dignitosa e anche per certi versi formativa, ecco che arriva da fuori, dal mondo civilizzato o da lontano, un ciclone composto di elementi estranei che irrompono prepotentemente a distogliere ognuno degli elementi della famiglia dal loro naturale equilibrio: un ritmo cadenzato a base di coltura della terra, di allevamento di pecore, e soprattutto di apicoltura.
Gli intrusi che minacciano questa oasi di regole consolidate e ritmate dalle stagioni sono: l'arrivo in azienda di un piccolo furfante tedesco adolescente che, per evitare l'arresto, viene condotto da una associazione ivi a dare una mano al capofamiglia, a corto di manovalanza maschile; una sguaiata trasmissione televisiva che pare interessata a girare una puntata in quella zona agricola e facendo esibire le varie aziende agricole locali in una gara al cattivo gusto, ma con un premio in denaro di tutto rispetto; infine il già citato regalo tardivo del focoso padre a Gelsomina: un cammello gigantesco che giunge spaesato ed inquieto in quelle praterie verdi come un alieno di un altro mondo: legato ad una giostra di ferro, l'animale si siede sulle ginocchia e pare rimanere immobile per sempre a fissare quel mondo estraneo a lui così lontano.
Le meraviglie è un film che si frammenta e viviseziona in tutte le vicende che intervengono per ognuno dei molteplici spunti sopra citati: la televisione che, tramite la giunonica e maliziosa conduttrice Bellucci/Milly Catena, volgarizza e imbarbarisce ogni cosa che filma, usandola, sfruttandola e gettandola via come un genere di primo consumo da fagocitare e dimenticare.
O il ragazzo che non parla, ma sa fischiare ed emettere suoni quasi magici in grado di incantare pure le api e renderle partecipi di uno spettacolo improvvisato che distolga l'attenzione del pubblico dai deliri apocalittici di un genitore scosso e in preda al panico (scena cult davvero spassosa).
Un letto abbandonato fuori alle intemperie, nel mare di fango che circonda il cortile, e che rende dapprima inerte e solo un padre sfiduciato e prossimo alla resa, ma che poi diventa il rifugio dentro il quale la famiglia si ripara dalle mille intemperie della vita per ricominciare, più solidale ed unita che mai, forte ed imbattibile contro tutti gli imprevisti.
E quando Gelsomina riuscirà ad apprendere i rudimenti di quel fischio magico che tutto sembra sistemare, ecco che allora, solo allora il cammello estraniato e solitario si deciderà ad alzarsi e a partire, e la famiglia, scacciati tutti gli intrusi che hanno cercato di minarne la stabilità, potrà nuovamente ripartire, magari da zero, ma forte di ognuno dei suoi componenti di nuovo solidali e collaborativi.
Alice Rohrwacher ha, tra gli altri, il dono di saper tirare le somme dei suoi film in modo magistrale, di creare apologhi magici e di gran forza e simbolismo: e dopo quel Cristo suicida che dalla croce si getta nella scarpata nel bell'esordio di Corpo celeste, con Le meraviglie ecco che il fischio magico che Gelsomina apprende nella notte trascorsa col ragazzo problematico ed in fuga, diventa il richiamo definitivo e dirompente per cacciare via ogni interferenza volgare e controproduttiva, per ritornare alla combattuta ma leale realtà della campagna, con le sue incognite, le sue regole inflessibili, le sue ciclicità sempre uguali ma sempre differenti.
Quello della Rohrwacher è certo un film discontinuo e divagante, che tuttavia si fa apprezzare col tempo, meditandolo, maturandolo nella mente in modo da percepire con più lucidità tutti gli spunti che sul momento può e riesce solo ad evocare, lanciandoli anche un po' inavvertitamente e allo sbaraglio di fronte ad uno spettatore spesso impreparato e imbarazzato.
Assegnando il Gran Premio, guadagnato contro ogni pronostico all'ultimo Festival di Cannes proprio la sera nel momento in cui uscivo dalla proiezione di quel film, la Giuria ha tenuto a precisare l'originalità degli spunti e delle argomentazioni di cui si fa forte questa singolare pellicola: un film di donne, dedicato al loro ruolo fondamentale e strategico, che piace soprattutto (ma non solo ovviamente) alle donne, e che deve avere (appropriatamente) stregato il trio Campion/Coppola/Bouquet, tanto da scalzare rivali apparentemente ben più titolati e altisonanti di questa piccola produzione solo apparentemente indifesa e allo sbaraglio.
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