Regia di Alice Rohrwacher vedi scheda film
È un film su una resistenza impossibile all’Italia televisiva, che si svolge quando ancora c’erano le lire. Ma anche su un modello di famiglia post-sessantottina che alla fine si dissolve nel nulla. Che sia in parte autobiografico, interessa i magazine. Ma è anche un’educazione sentimentale delicatissima (con un’adulta per un attimo vampiresca), e una fiaba quasi gotica. Questo e altro. Senza che appaia la didascalia o l’etichetta a enunciare il tema. Ambientato sulle sponde di un inedito Trasimeno, con un’isola in mezzo che sembra quella di Böcklin, popolato da bio-integralisti, docili api, quattro sorelle e un ragazzino problematico sordomuto, parlato in tre lingue, il secondo lavoro di Alice Rohrwacher evita le strettoie del film a tesi meglio ancora di Corpo celeste. Di fatto non concede nulla, ma nulla, allo spettatore da festival. Le cose sembrano succedere per caso, ma poi lasciano sempre il segno. E in ciò si vede che dietro l’istintivo talento della regista per l’immagine e i personaggi c’è anche un produttore vero, Carlo Cresto-Dina, che deve averla confortata nel seguire le scelte più coraggiose. Come quei dieci minuti finali che spalancano una voragine improvvisa. A ciascuno faranno venire in mente qualcosa; a me, per quanto possa valere, hanno ricordato Antonioni e L’eclisse. Sono solo tentativi di dare forma a qualcosa di libero e nuovo che per fortuna sfugge.
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