Regia di Steven Quale vedi scheda film
E’ trascorso già così tanto tempo da poter pensare legittimamente di tornare a parlare di tornado e calamità naturali da disaster movie, riempiendosi le tasche di bei soldini?
In fondo forse si, se si pensa che il neppur malvagio Twister del mediocre (o più correttamente della “promessa non mantenuta” e venduta alla mercé delle majors) Jan de Bont è datato 1996.
E da allora certamente le tecniche e gli effetti speciali, già di pregevole fattura a quell’epoca, si sono certamente affinati. Per cui “approfittiamone!” devono aver pensato gli strateghi di Hollywood, volponi dal fiuto spesso infallibile.
Si ok, ma pensare a scrivere uno straccio di sceneggiatura decente o quantomeno accettabile intorno ai pur pregevoli e realistici effetti speciali che filmano la devastazione di un cataclisma naturale con un realismo piuttosto impressionante, avrebbe costituito certamente un valido soccorso ad una vicenda che invece si sgretola via, disintegrandosi in macerie turbinanti di oggetti, vetture, case ed aeroplani, appesi ed imbrigliati solidalmente e senza controllo nel vortice della tormenta.
Invece gli sceneggiatori, con un sadismo ed un cattivo gusto imperdonabili, inammissibili, sviluppano la vicenda sotto forma del solito abusato mockumentary che si sdoppia e triplica allo stesso modo, tendenzioso e traditore, dei tornado plurimi, improvvisi e inarrestabili che minacciano i nostri malcapitati personaggi.
La responsabilità di uno sfacelo narrativo insopportabile è dovuta, sia pur indirettamente, soprattutto al comportamento di un irreprensibile preside, vedovo con due figli, che impone al pargolo maggiore diciassettenne, di cui sta perdendo controllo e ancor più la stima, di occuparsi di una video intervista assurda, svolta su alcuni amici e conoscenti ed indirizzata agli stessi intervistati durante il momento della loro maturità o vecchiaia, cioè quando saranno trascorsi ben 25 anni.
Non paghi di ciò (non si capisce per nulla che fine possa avere questa geniale idea di video-confessione patetica e rivoltante) e con un certo sadismo congenito, gli scellerati sceneggiatori ci aggiungono il video del fratello minore di quest’ultimo, che, cadesse il cielo (cosa che peraltro quasi avviene) non si stacca dalla camera manco a stenderlo con il vortice malefico, nonché gli operatori di un team di ricercatori che da anni sta cercando di “entrare” nell’occhio del ciclone, senza peraltro riuscire mai ad arrivare in tempo con la propria auto corazzata.
Nel gruppo di quest’ultimi viene a configurarsi il microcosmo più usurato e riproposto cinematograficamente: il capo gruppo, cinico e proteso solo al risultato tanto da procedere con i propri fondi quando l’organizzazione che li finanzia gli taglia i viveri per scarsità di risultati (un cinico che saprà naturalmente riscattarsi con un volo acrobatico nell’alto dei cieli…sic..), una bella ricercatrice afflitta da sensi di colpa per la forzata lontananza a cui la costringe quel lavoro così pittoresco nei confronti della figlioletta cinquenne (“io sono la studiosa, loro sono gli operativi”, si presenta al resto degli sventurati la bellona tosta e determinata, che non ne azzecca una quanto a localizzazione di tornado, ma che non per questo si arrende a cambiare le proprie determinate convinzioni); e ancora un cineoperatore che se la fa sotto, ma non riesce a tirarsi indietro per bisogno di pecunia. e poi, peggio del peggio, un ulteriore film-nel-film: quello a cui danno vita due folli frequentatori maniacali di you tube, in cerca di fama con le proprie strampalate imprese dagli esiti quasi sempre catastrofici, ma in fondo molto meno di quelle a cui sono destinati colore che le sciagure le subiscono loro malgrado e senza andarsele a cercare.
Il film soccombe quasi subito, ravvivato a stento da immagini impressionanti della natura incontenibile ed impazzita: crocifisso da dialoghi e situazioni davvero insostenibili, come quando il figlio maggiore del preside-protagonista, imprigionato assieme alla bella amica in una buca che si sta allagando tra le rovine di una cartiera, anziché affannarsi e trovare il modo di uscire, si auto-riprende in uno sdolcinato e stucchevole addio alla vita che non riusciamo davvero ad ascoltare senza provare brividi di ribrezzo.
E se dal regista Steven Quale, quello di Final Destination 5 (5?????? Ma siamo impazziti?) non ci si può aspettare molto, se non una certa dimestichezza a tener testa a fenomeni paranormali o anche solo metereologici, non possiamo fare a meno di ammettere che l’attore affascinante Richard Armitage, smessi un attimo i limitanti panni del nano della saga tolkeniana-jacksoniana de Lo Hobbit, appare indubbiamente in possesso di un carisma che gli rende finalmente giustizia, e che lo vedrebbe bene e pertinente per un eventuale futuro Bond, qualora il posto dell’immarcescibile agente segreto dovesse tornare vacante.
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