Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
Direttamente da Broadway, Clint Eastwood trae ispirazione, ed anche molto di più, per realizzare una pellicola biografica a matrice musicale, abbastanza sorprendente se si considera la sua età e i vari progetti che ha affrontato negli ultimi vent’anni.
Un’opera che può più o meno appassionare a seconda del gradimento al soggetto (tanti pezzi cantati, origine teatrale, un gruppo nel solco della tradizione americana), ma sul resto si respira una vitalità sulla quale è difficile dissentire.
Quando cresci a Belleville, New Jersey, non sono molte le possibilità per andartene, l’unica senza scelte difficili, entrare nella malavita o nell’esercito, è diventare famosi.
Ci provano quattro ragazzi costituendo un gruppo musicale che vede in Tommy DeVito (Vincent Piazza) il fondatore, in Frankie Valli (John Lloyd Young) la voce regina e in Bob Gaudio (Erich Bergen) il compositore.
Ci riusciranno con il nome “Four Seasons”, venderanno milioni di dischi, ma col successo non tardano comunque ad arrrivare nuove sfide da affrontare.
Almeno dalle nostre parti, non si trattava certo di uno dei progetti più attesi di Clint Eastwood, in fondo è una vicenda non troppo dissimile da molte altre, ma anche per questo finisce con l’accompagnare piacevoli sensazioni, forse perché parzialmente inaspettate.
Il vecchio Clint trasporta al cinema uno spettacolo teatrale di successo, con grande attenzione e rispetto verso la materia che plasma (questo a partire dal coinvolgimento di larga parte degli interpreti e maestranze originali), dirigendo con passo svelto, una fluidità di esecuzione da far invidia ai più giovani (in tal senso, ed anche per alcuni aspetti della trama, ricorda Martin Scorsese che per giunta omaggia citando una scena di “Quei bravi ragazzi”) e con una narrazione a dir poco vivace che fa uso di alcuni espedienti, come le riflessioni in soggettiva inserite con armonia, in teoria rischiose, ma in pratica assolutamente funzionali.
E poi ci sono altre finezze inserite nella storia, ad esempio tutti e quattro i protagonisti hanno i loro momenti in prima linea che testimoniano le stagioni vissute dal gruppo; Tommy la primavera, da lui tutto è partito, Bob l’estate, col suo avvento arriva l’ascesa, Nick l’autunno, è lui a scoppiare, e tutto d’un tratto, per primo, infine Frankie l’inverno, col punto più basso raggiunto dopo una disgrazia famigliare, ma anche pronto per una nuova, enorme, risalita (“Can’t take my eyes off of you”).
A questo si aggiunge obbligatoriamente la musica, che per gusti potrebbe anche tenere lontani, i numeri proposti sono parecchi, molti si scopre di conoscerli da sempre, ma poi tutto ciò che vi ruota attorno assume vari significati; la musica che ti salva la vita, che ti leva dalle secche dei momenti più complicati, con una gioventù trascorsa tra un guaio e l’altro, la difficoltà di contenere gli eccessi del successo ed un legame sano con gli affetti.
Molto di tutto ciò non è originale (e comunque da vedere in v.o. anche per gli improvvisi inserti in italiano, dovuti alle origini di molti personaggi), ma comunque orchestrato con disinvoltura estrema, con una confezione curatissima e soprattutto un vero e proprio triplo finale; tre atti volendo tutti autonclusivi, con l’ultimo che è un vero e proprio omaggio teatrale che sprizza energia da tutti i pori (idea che sulla carta poteva lasciare di stucco e che invece si incastona alla perfezione).
Un piccolo grande film dunque, che accanto ai quattro protagonisti, dai volti cinematograficamente sconosciuti (tre presi direttamente dallo spettacolo originale), aggiunge la ciliegina sulla torta rappresentata da Christopher Walken, che elargisce abbondanti dosi di carisma (tra l’autorità della figura, humour e pure lacrime di commozione) e che, onorando la fonte di partenza, si ricorda benissimo che il cinema ha comunque altre necessità.
Nella sua dimensione, quasi perfetto.
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