Regia di Jonas Govaerts vedi scheda film
“Cub” sta per lupetto: il grado dei piccoli scout che si avventurano nel bosco, ma anche la natura ferina del giovane licantropo che si aggira nei boschi dove campeggiano i bimbi. Dovrebbe essere solo uno spauracchio inventato dai capiscout (qui, più che mai, “cretini vestiti da bambini”) che si divertono a terrorizzare i ragazzini, eppure il più sensibile della comitiva, Sam, il bimbo-lupo lo vede davvero, senza che nessuno gli creda. Ma mentre il manipolo in bermuda si concentra sul presunto mostro, nella vicina e abbandonata fabbrica di autobus un ex operaio consuma la sua lenta e folle carneficina, colorando di tracce ematiche il camping. Esordio nel lungometraggio del giovane belga Govaerts (premiato al Sitges Festival 2014), Cub gioca con la percezione suggestionabile dei piccoli protagonisti e con gli eccessi gore di ispirazione settantesca (con un occhio, velato di sangue, ad Argento: uno dei personaggi ha la colonna sonora di Suspiria come suoneria del cellulare), radicando la suspense anche nel peculiare territorio che fa da location (gli scout fiamminghi, di lingua olandese, sono accolti con aperta ostilità dai valloni francofoni, sfumature annullate dal doppiaggio italiano). Ma l’accumulo di sobbalzi e di indizi, alcuni volutamente devianti, sfocia in un atto finale che mortifica qualsiasi logica narrativa, lasciando a bocca asciutta lo spettatore e gettando alle ortiche, in nome del crescendo di terrore, la tensione costruita.
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