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Lo sciacallo

Regia di Dan Gilroy vedi scheda film

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La recensione su Lo sciacallo

di scandoniano
9 stelle

Lou Bloom è uno squattrinato in cerca di lavoro. È metodico e determinato, ma i suoi modi poco ortodossi non lo fanno vedere di buon occhio. Un giorno assiste per caso ad un incidente e all’arrivo dei soccorsi, ma anche all’intervento di una troupe televisiva che gli suggerisce uno spiraglio professionale: farà il reporter freelance. Assolda lo spiantato Rick come braccio destro e si specializza sempre più nella professione, con passione maniacale e visione delle cose decisamente intraprendente. L’incontro con la spietata manager televisiva Nina farà precipitare le cose.

 

locandina

Lo sciacallo (2014): locandina

 

La prima regia dello sceneggiatore Dan Gilroy è uno dei più efficaci thriller degli ultimi anni. La sua forza è nella sceneggiatura, un mix di originalità e intensità che è valsa a Gilroy una meritata nomination agli Oscar. Il film ha nel suo attore protagonista Jack Gyllenhaal un interprete magistrale, forse la migliore scelta di casting possibile. L’ambiguità dei ruoli ricoperti finora in carriera dall’attore statunitense è un biglietto da visita perfetto per raccontare l’ascesa al potere di Lou Bloom, che si tramuta da truffatore da quattro soldi a spietato sciacallo assetato di sangue e dolore. Un’ascesa sempre più vertiginosa che ha bisogno di sempre maggiore carisma ed una determinazione fuori dall’ordinario.

I ritmi della pellicola sono continuamente serrati, gli eventi si susseguono secondo un crescendo vertiginoso. La differenza con molti altri thriller, spesso deludenti, sta nell’estrema credibilità del protagonista, oltre alla scoperta della sua bieca ambizione che avviene in maniera costante ma continua. Una caratterizzazione in divenire talmente ben congegnata da portare a considerare Lou come onnipotente, nel senso di imbattibile e soprattutto impunibile. Ed il confronto con l’ispettrice di polizia nel finale, in un confronto che per ragioni non ben definitive fa tornare in mente le scene conclusive de “I soliti sospetti”, ne è la conferma.

Le sensazioni determinate dalla condotta del protagonista sono figlie di una espressa volontà degli autori di condannare in maniera netta ed inequivocabile il mondo dei media statunitensi, la loro infima sete di potere, i loro meccanismi inumani votati al solo dio danaro.

 

Jake Gyllenhaal

Lo sciacallo (2014): Jake Gyllenhaal

 

Il passato di Lou, che non ci viene svelato dalla storia, non ci consente di capirne l’indole, anche se la sua totale mancanza di scrupoli nel perseguire l’obiettivo sembra una naturale conseguenza nel lavorare a contatto col mondo della TV. Un mondo raccontato come un crudele calderone che ha smarrito l’umanità, in cui la determinazione rasenta la follia per puro arrivismo.

Lou è il contraltare ideale di Nina, mestierante veterana dei canali TV che bada allo share senza curarsi dell’etica professionale. Entrambi i protagonisti sono lati della stessa medaglia, inumani eppure sulla cresta dell’onda. E quella sensazione di impunità con cui si chiude il film è un messaggio ampiamente pessimistico che sottolinea l’imperare sempre più incontrastato di un sistema di entertainment senza scrupoli e senza regole che è diventato il pane quotidiano. Una critica al sistema che avvicina questo bel lavoro di Gilroy a film come “Quinto potere”, come traccia moderna ed aggiornata del sistema di sciacallaggio televisivo sempre più imperante.

 

Jake Gyllenhaal, Rene Russo

Lo sciacallo (2014): Jake Gyllenhaal, Rene Russo

 

Il modo diabolico, che perpetua la preoccupante spocchia tutta metodo e sicumera del protagonista, con cui Lou ricerca, riprende, spacchetta e rivende l’episodio del massacro alla villa, guadagnando soldi, conquistando Nina, gabbando la polizia e sfruttando il “socio” Rick, è l’emblema del film. Ma anche del talento di scrittore di Gilroy.

Un film sorprendentemente bello.

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