Regia di Dan Gilroy vedi scheda film
Ladruncolo e ricettatore senza arte nè parte, Lou Bloom si reinventa reporter freelance, precipitandosi tempestivamente sul luogo del delitto grazie ad uno scanner radio e procurandosi così immagini forti ed efferate che rivende ad una tv locale. Giunto sulla scena di un massacro prima della polizia, riesce a filmare tanto le vittime quanto i carnefici mantenedo il riserbo su questi ultimi per sfruttare a suo vantaggio l'informazione e manipolarne la cattura per lo scoop che lo lancerà definitivamente nel business del giornalismo scandalistico. Costi quel che costi.
Chi è Lou Bloom? Un genio autodidatta che sfrutta a suo vantaggio gli spietati e cinici meccanismi del giornalismo d'inchiesta o un sociopatico che riesce casualmente a ritagliarsi uno spazio nel fiorente business dello sciacallaggio televisivo?
Sembra questa la domanda che anima questo corrosivo thriller metropolitano sui 'progressivi scivolamenti dell'etica' al tempo della civiltà dell'immagine e che, come nella gloriosa tradizione hollywoodiana sul tema ('Citizen Kane' - 1941 - Orson Welles, 'Ace in the Hole' - 1951 - Billy Wilder, 'Network' - 1976 - Sidney Lumet), pare tratteggiare il carattere grottesco e tragico insieme di un reietto che si muove ai margini di una intricata giungla suburbana fatta di violenza e di sangue, pronto a monetizzarne il potenziale economico nell'interesse morboso che il mercato dell'informazione catodica sembra conferire loro.
Esasperando i toni dell'apologo morale in una lotta senza esclusione di colpi (la tenzone tra i due cameramen concorrenti con boicottaggio finale, la transazione economica e sessuale tra freelance e manager televisiva, il crudele sacrificio dell'aiutante inaffidabile) e suggerendo una sociologia dell'orrore che nasce dal degrado di una periferia urbana dove il suono delle sirene e delle armi da fuoco finisce per sconfinare con gli strazianti ululati nelle notti di un plenilunio californiano, l'esordiente Gilroy ci propone l'ennesima declinazione di un'alienazione metropolitana ('Taxi Driver' - 1976 - Martin Scorsese, '15 Minutes' - 2001 - John Herzfeld) in cui tanto l'adesione fideistica ad una rigorosa disciplina professionale quanto la totale assenza di scrupoli etici e di empatia umana, conduce lo stralunato protagonista interpretato da Jake Gyllenhaal ad esasperare 'sul campo' le degenerazioni manipolatorie del mestiere giornalistico: dalla documentazione della notizia alla creazione della notizia si sa, il passo è breve.
Fondato su di una progressione drammatica che punta ad un gioco sempre più sporco e sul trasformismo ferino di un irsuto (e smagrito) Gyllenhaal, il film mantiene la malsana coerenza di un rigore sarcastico che evita di scadere nelle facili trappole del parodismo e dell'ironia, finendo per mettere sullo stesso piano le responsabilità collettive (il Network ed i suoi 'profili legali') con quelle individuali e mostrandoci, in un finale da antologia, la ricognizione in 'presa diretta' sulla scena di un crimine in cui un novello Truman Capote dagli occhi spiritati e dal ciglio puntiglioso sembra arrivato giusto in tempo per documentare sul campo una strage da 'A sangue Freddo' che vale una carriera.
Nomination come Migliore attore in un film drammatico per Jake Gyllenhaal ai Golden Globe 2015. Donny Darko è cresciuto e val bene un Oscar!
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