Regia di Damien Chazelle vedi scheda film
L'esecuzione corale dovrebbe riprendere, si aspetta solo quel cenno. Gli sguardi si incrociano e il braccio prima esitante poi convinto si eleva in un gesto inequivocabile. La tensione è totale e ….. Nero! Scitta in bianco su sfondo nero "Whiplash". La musica continua e partono anche i titoli di coda. Un istante di esitazione ed ecco un applauso! spontaneo e quasi liberatorio. Non invadente però, quasi a non voler disturbare le note, che proseguono. Non è di sicuro un sonoro che si rischia di perdere nella sala, comunque: pulito e convinto, arriva al pubblico dritto e senza compromessi. Prendere o lasciare. Come il film d'altronde: coerente nel significato e compatto esteticamente: o convince o irrita. Difficile trovare un sentiero di mezzo. Perchè, come dice film.tv., "grida le proprie convinzioni" e lo fa senza divagazioni né sbavature in qualche modo confacendosi perfettamente all'ossessione che mette in scena.
Cinema innanzi tutto, cinema. Fortissimamente cinema. Costato poco meno 3 milioni e mezzo di dollari, girato in ventiquattro giorni e montato in dieci settimane "Whiplash" ha le caratteristiche di una produzione indipendente ed i numeri, soprattutto per i parametri statunitesti (ma pure italiani) di un "low budget". Inizialmente maneggiata la sceneggiatura per farne un "corto", più che altro per mancanza di fondi, il regista ha poi trovato per strada finanziatori più generosi, evolvendolo in un lungo di un ora e quarantasette minuti adrenalinici e sferzanti. Per nulla buonisti e assolutamente non autocelebrativi o compiaciuti: solo, a tratti, irritanti e disagiati. Perchè la prima sensazione che a cui lo spettatore è messo davanti, con arroganza e violenza, è la non empatia del regista con i propri personaggi. L' "iper-realismo" di questo film sta tutto qui, in fondo: l'io narrante non è solo estraneo, ma evidentemente neppure partecipe. Sembra voler strappare questo "pezzo di vita" estrapolandolo dal tutto come se si facesse suonare uno strumento da solo, ma non un "solo", leggendo uno spartito strumentato per orchestra. Senza prima, senza dopo, e con un "mentre" traballante dove, qua e là, manca vuoi la melodia, vuoi il controcanto, vuoi l'accompagnamento; e poi le pause non hanno una ragione, il ritmo si perde. L'orecchio, come l'occhio, restano disorientati. Affascinati dall'irruenza e dalla imperfezione. Girato quasi solo in interni, "Whiplash" si avvale di scenografie tanto squallide quanto necessarie: non c'è nulla di romantico nei grattacieli sbilenchi come nelle aule claustofobiche e deformate dalla paura e dall'ansia esistenziale del protagonista. I toni della fotografia sono scuri con qualche sprazzo di ocra e di blu cosicché il colore pare più un caso fortuito che altro e la definizione è in negativo non in positivo (più che un "film a colori" lo definirei un "film non in bianco e nero"): anche la luce è funzionale e viene spesso puntata sui due protagonisti come l'occhio di bue in un teatro. Stanno loro alla ribalta: tutto il resto, parenti amici compagni fidanzate, è solo contorno variamente abbozzato, ignorato, sorvolato. Esattamente come al centro acustico ci sta solo un genere di musica - specifico e tutto sommato settario (almeno per l'ascoltatore medio, soprattutto europeo). Un solo modo di intenderla. La distanza, anche qui, mi pare totale: l'assunto registico non è affatto "quella è la musica" o "quello è il jazz" o "così deve essere fatto" "solo quell'atteggiamento porterà al successo". Qui si racconta una storia. O meglio, si strappa dalla pagina della vita di un adolescente apparentemente "normale" una porzione che equivale ad un lasso temporale di qualche mese, senza contesto o forse con un fumoso "destino" personale, intuibile a prazzi nello splendido finale. Il giovane Andrew Neyman è cicciottello e goffo, ha l'acne e proviene da una famiglia modesta senza velleità artistiche. Non piace a nessuno, nemmeno a noi: non c'è infatti nessuna "captatio benevolentiae" nella costruzione del suo personaggio. Non sentiamo il bisogno di immedesimarci, o prenderci a cuore le sue piccole grandi debolezze. Da sbiadito ed insicuro, immerso in un degrado culturale imbarazzante (che è anche critica sociale feroce: attorno al desco si glorificano le imprese sportive di second'ordine e si relativizza persino la qualità) diventa brevemente aggressivo e presuntuoso, con un costante approccio apatico e svogliato alle relazioni sociali. Represso e mono-tematico, sembra impermeabile anche alla ambizione pura: non ricerca il successo in quanto tale, sembra piuttosto in perenne conflitto con sé stesso e con i limiti che umanamente ed oggettivamente presenta. Il sogno americano è tanto agognato quanto sminuito: si suona per ottenere una "vittoria" o un "ingaggio" (in un senso pertanto profondamente utilitaristo che corrode alla radice la finalità prima dell' Arte) ma si è disposti a non conseguirli pur di perseguire una ossessione, vendetta per il docente Fletcher, competizione sterile per l'allievo Neyman. Ossessione che si fa perversione: da estemporanea ed istintiva, a fondativa e costituzionale. Fino alla presa di coscienza totale che non è per nulla catartica, assolutoria o libertaria. Tutt'altro: pessimisticamente e negativamente conferma l'essenza dei personaggi. Un "consonanza di bellicosi sensi" che sa di riconoscimento reciproco per questa "coppia" anticonvenzionale il cui equilibrio (o meglio squilibrio!) interno non è accordato sulla nota "sado-masochista" (parolona che alcuni hanno scomodato). Di quella, manca l'elemento costitutivo base: il piacere. Ad entrambi: carnefice e vittima, e non si sa quale sia l'uno dell'altro. Il piacere, da "Whiplash" è bandito così come la Bellezza. L' esortazione "Divertiti" alla fine della prima sessione di prove suona ironica e sprezzante. Alla richiesta, da parte di Fletcher, di ammissione di consapevolezza del perchè "sia lì" Andrew annuisce. Peccato che non sappia bene a che cosa! La tortura si subisce anche perpetrandola ed il gusto dell'intrattenimento, la soddisfazione della raggiunta qualità, persino l'infantile stupore davanti al consenso del pubblico, la gioia cristallina e pura che la musica può dare, evocando e coinvolgendo, sono azzerati, nell'allievo più che mai. Suggerendo forse una sua mancata crescita, o una innata impossibilità. "Concussion merges with percussion. It's a film with impact." (Peter Bradshaw "The Guardian")
La batteria non è solo lo strumento che il giovane regista Damien Chazelle (classe 1985 ed un titolo di studi ad Harvard) ha praticato e che quindi conosce meglio. E' anche quello che probabilmente più si presta ad essere scandagliato e vivisezionato nei suoi aspetti "fisici" invece che semplicemente tecnici. Andrew Neyman è al "primo anno" o più propriamente al "primo livello" di un corso che non coincide affatto con le italiane accademie o conservatori. Ma neppure, esattamente, a università, masters etc... Età anagrafica media e temporalità non coincidono. Per quanto prestigiosa e selettiva, la Juilliard School (a cui ci si riferisce nettamente) è frequentata da centinaia di alunni, con un certo tasso di abbandono e anche (incredibile!) di insuccesso. Quella "jazz" è solo una delle tante "sezioni". Fare parte di ensembles e partecipare a competizioni di "settore" è un requisito essenziale anche se certamente non unico per il successo della propria carriera, anche solo, scolastica. Si parla di soggetti musicalmente già competenti e consapevoli, ma pur sempre, studenti ventenni. La valutazione della verosomiglianza o meno di quanto musicalmente mostrato è probabilmente legato, soprattutto per gli addetti ai lavori, ad esperienze individuali che non attengono alla sostanza dell'opera. Per quanto riguarda il mio modesto parere i problemi di intonazione dei tromboni, l' eccessiva aggressività sonora delle trombe, le discussioni riguardo alla postura del batterista sullo sgabello e al suo colpevole masochismo nel rovinarsi le mani, fino al protagonismo distruttivo della performance ed insieme alla estremizzazione di concetti come velocità e tempo in un contenuto musicale specifico, sono corollario accettabile. Più che mai negli Stati Uniti dove la competitività ai risultati è fortissima - ma anche in ambienti europei dove la pressione psicologica è meno "violenta" ma più subdola. Ma, comunque, corollario: Chazelle non si erge a censore o propinatore di verità assolute: i dubbi disseminano l'opera e trovano piena espressione in un dialogo al tavolino di un bar dopo una esibizione - esemplificazione anche scenica e musicale di molte contraddizioni qui non del tutto insanabili: accademicità e libertà, tecnica ed interpretazione, "convenienza" e gratuità. Un film che è romanzo di destrutturazione e ricostituzione, in cui la formazione è centrale, eppure marginale, affetta da molte variabili della quale l'uomo, la sua capacità di scelta ed il suo talento, l'imprescindibile. Una storia di ossessione dentro e fuori due soggetti, in lotta eppure ineluttabilmente uniti da un comune sentire."Con Whiplash ho voluto fare un film sulla musica che sembrasse un film di guerra o un gangster movie, in cui gli strumenti si sostituissero alle armi, dove le parole fossero percepite violente come pistole e dove l'azione non si spiega in un campo di battaglia ma in una sala prove della scuola o in un momento di un concerto". "Ho voluto mostrare tutti i dettagli che ricordavo, tutto lo sporco, il sudiciume e lo sforzo che ci sono in un lavoro musicale. I tappi per le orecchie e le bacchette spezzate, le vesciche e le mani tagliate, il conteggio incessante e il suono dei metronomi, il sudore e la fatica. Allo stesso tempo, ho voluto catturare i momenti fugaci di bellezza che la musica permette e che il film può riprodurre in modo commovente".
Strepitoso Miles Teller lontanissimo dai canoni divistici hollywodiani e nostrani nell' apatico ed appassionato Andrew Neymar, sanguinante ed ansimante.
Strepitoso J. K. Simmons, controllato e professionale nel perfezionista contro ogni ragione e razionalità Terence Fletcher. Giustamente premiato, dona al suo personaggio una gamma di emozioni esteriorizzate tanto vasta quanto disarmante nella sua incomprensibilità.
Meritatissimi i due Oscar al montaggio ed al sonoro (non alla colonna sonora, mi pare importante sottolinearlo)
Per chiudere con una frase ad effetto, direi che "Whiplash" riesce a trasformare le proprie imperfezioni in qualità, esprimendo appieno una poetica.
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