Regia di Damien Chazelle vedi scheda film
Forse Whiplash sarebbe passato in sala abbastanza indenne, senza far gridare al miracolo ma senza nemmeno tirarsi addosso troppe critiche, se non fosse giunto al pubblico preceduto dalla sua stessa fama, che ha finito per polarizzare reazioni e giudizi tra entusiasmo e deciso dissenso. Effettivamente il lavoro di Damien Chazelle era atteso, non come può essere atteso un film blasonato che vanta nomi e produzione da sfondamento, ma come può esserlo – in maniera più sottile e più intrigante, per spettatori attenti – un piccolo film che sembrava preannunciarsi non comune, presumibilmente un indipendente con identità forte in grado di distinguersi e magari lasciare un segno tra i molti pari di genere musicale, tanto più che la pellicola ha aperto l’ultima edizione del Sundance Film Festival da cui è lecito aspettarsi buone idee al riparo da mosse facili e luoghi comuni.
A parte la specificità dello strumento protagonista del film, la batteria, che come si è giustamente osservato implica un impegno fisico quasi totalizzante e quindi molto spettacolare e coinvolgente, non è a mio parere così chiaro quale sia il valore aggiunto specifico di questo lavoro rispetto ai canoni di genere. Certo non è difficile comprendere come Whiplash sia in grado di colpire e avvincere poichè la tensione drammatica del film poggia su meccanismi di immedesimazione collaudati e perfettamente funzionanti: il sogno di gloria, la volontà di riscatto dall’anonimato, il testa a testa con un docente che fa di tutto per farsi odiare ma in fondo agisce per il “bene” dell’allievo secondo un metodo formativo assai spartano che assicura - sull’allievo e sul pubblico - un effetto provocazione/reazione immediato. Fin qui non ci sarebbe niente di nuovo né di deprecabile, nel caso di Whiplash però ciò che poteva fare la differenza rispetto ad un classico survival movie per aspiranti star è la scelta di un contesto attraente e raffinato come quello di un prestigioso conservatorio newyorkese dedito alla formazione di giovani musicisti jazz, ambientazione di per se’ promettente e ben conosciuta da un regista giovane ed ex musicista, insomma le premesse c’erano per provare ad aggirare i luoghi comuni e restituire qualcosa di atipico, che invece nel film si manifesta solo in minima parte.
In fondo, le (note) dinamiche di conflitto tra docente e allievo e di competizione tra studenti, che nella loro esasperazione finiscono per adombrare quello che dovrebbe essere il nume tutelare del film e cioè la musica, potrebbero essere trasposte in qualunque altro ambito formativo, artistico o sportivo, segno che, nonostante le ottime scene di esecuzione dei pezzi, la musica attraversa il film ma non ne costituisce la ragione d’essere.
Elemento cardine di Whiplash è Fletcher, l’insegnante spietato e autoritario interpretato con convinzione da J.K. Simmons ma scritto con un gusto dell’effetto plateale che lascia perplessi: terrorizza e schiaffeggia (!) gli studenti ma si commuove di fronte a tutti per la morte di uno di loro, accoglie i musicisti con un amichevole “benevenuto, rilassati e divertiti” per poi metterli in competizione tra loro e mortificarli pubblicamente, è un tipo che si vendica arrivando a compromettere un’importante esibizione dell’orchestra ma quando è lui a sedersi al pianoforte sembra un musicista ispirato e sensibile... insomma un personaggio spaccone costruito sui contrasti più che sulle sfumature, perfetto per fare colpo ma che sarebbe risultato più interessante se giocato anche su qualche ombra (in fondo bastano l’arroganza e la presunzione per fare danni, non c’è bisogno di arrivare al sadismo e alla violenza fisica).
Trascinanti e ben girate le scene di ensemble dell’orchestra, osservata da un occhio evidentemente esperto che conosce bene il ruolo dei singoli strumenti e la dinamica d’insieme. E’ evidente però, anche ai profani, che Whiplash si concentra sull’aspetto esecutivo della musica più che su quello interpretativo, essendo il primo più facilmente rappresentabile e spettacolare, tradendo altresì un certo disinteresse per tutto quanto non sia sfida forsennata con se’ stessi, con lo strumento, con il docente o con gli altri, la qual cosa toglie respiro al film rendendolo un lavoro dall’impostazione concettuale piuttosto semplice.
Le pellicole a tema musicale non sono tutte necessariamente confrontabili tra loro, ma non essendone uscite moltissime ultimamente mi è venuto spontaneo ripensare con piacere ad un film recente che è riuscito a porre la musica al centro della sua ispirazione, ovvero “Begin Again” (Tutto può cambiare) di John Carney, che avrebbe meritato più attenzione di quella effettivamente raccolta. Seppur diverso da Whiplash in quanto interessato all’aspetto creativo/compositivo con qualche considerazione non banale anche sulle logiche del mercato discografico, è un felice esempio di come, senza prendersi troppo sul serio e senza spargimento di sangue, si possa ragionare con spirito critico e meditata leggerezza sulla musica e sul bene che essa può portare nella vita.
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