Regia di Damien Chazelle vedi scheda film
Confesso che la recensione qui postata dal collega Giovenosta mi è servita ad aprire un po’ gli occhi ed a consentirmi di inquadrare meglio il giudizio su questo film.
“Whiplash” (è anche il titolo di un brano jazz di Hank Levy) significa “colpo di frusta”, e forse non è per caso che sia stato scelto questo brano, fra tanti tutti interessantissimi proposti dalla colonna sonora (su tutti la splendida “Caravan” di Duke Ellington), come asse portante della vicenda. E’ infatti a suon di frustate che il terribile prof. Fletcher (curioso come questo nome risuoni un po’ come quello di Lecter, mitico protagonista de “Il silenzio degli innocenti”...) insegna musica presso un prestigioso conservatorio di musica americano, già trampolino di lancio/base di partenza per la fulgida carriera di numerosi jazzisti statunitensi. In costui e nei suoi ruvidi (perversi?) metodi si imbatte Andrew, un giovane schivo ed ambizioso, con zero amici intorno ed in testa nient’altro che la sua batteria. A dire il vero, è vero il contrario: è il professore ad imbattersi nel drumming del ragazzo mentre sta provando da solo in un’aula del conservatorio, e questo primo incontro sùbito in apertura di film, di sapore fin troppo dichiaratamente fatale, lascia subito capire quali saranno gli ingredienti della minestra servita sul tavolo:
- un talentuoso giovanotto tenace ed idealista per il quale tifare, tutto spirito di sacrificio e dedizione, incompreso in famiglia dove gli preferiscono i rampolli dediti al football di serie C, timido e impacciato con le ragazze.
- un arrogante professore spaccamaroni, metodi alla marines di kubrikiana memoria, uno che svaligerebbe anche casa propria pur di dimostrare alla moglie che il loro cane da guardia non sa fare il suo mestiere, tra le pieghe del cui carattere però lo spettatore potrà cercare (e trovare, se ne avrà la pazienza e lo stomaco) quella rude nobiltà da Grande Condottiero che, scevro da pietismi da checca ed armato invece del più auto celebrativo celodurismo, catapulta il cuore dei suoi soldati oltre l’ostacolo, naturalmente a spese loro e a suon di sberle (e frustate, appunto), incurante (o no?) delle conseguenze gravi ed eventualmente irrimediabili che i suoi metodi hanno sui suoi alunni, in cambio di una vincente selezione di stampo eugenetico degna di Mendel e dei suoi durissimi piselli.
- una sbornia di (ottima) musica che viaggia a fiumi su e giù per il gargarozzo, seppur continuamente castrata e interrotta dall’iper-mascolina presa a pugno del celodurista di cui sopra ogni volta (nove su dieci) che qualcosa “non è nel suo ritmo”.
- una piccola storiellina d’amore tra il giovane eroe e una cassiera di cinema che, pur se servita di contorno all’interno di un menu a base di carne cotta al sangue e intingoli ultra piccanti fino alla nausea, può comunque essere utile ad allungare un po’ il brodo (leggasi: identificare meglio il giovane eroe) e/o a pulirsi un po’ la bocca ogni tanto durante lo sbavante, orgiastico baccanale jazz.
In tutto ciò, le prime due cose che mi hanno colpito nell’immediato sono state:
1) l’incongruente ristrettezza della misura delle spalle di Miles Teller (Andrew), la quale, pur essendo costui indiscutibilmente un batterista vero (a meno di improbabili effetti ultra speciali degni dello staff di James Cameron), lo fa poco super-batterista e troppo Titti versus Gatto Silvestro e (scusate se insisto sulla metafora), gli nega quel tanto di coglioni che sul finale (scusate il mezzo spoiler) gli ributta artificiosamente addosso. Sulle spalle troppo strette, appunto.
2) la prova straordinaria che, prima ancora della sua stessa performance, offrono i lineamenti alieni e calvissimi di J.K. Simmons (il professor “Hannibal” Fletcher), i quali, fatta la pesantissima tara di un personaggio insostenibile oltre ogni ragionevole limite, devo riconoscere che contribuiscono a costruire un personaggio che (stiamo a vedere gli esiti degli Oscar oltre a quelli già conseguiti nei concorsi propedeutici) potrebbe anche fissarsi in una futura memoria “USA e Getta” della cinefilia d’oltre oceano .
Ora... Le ispiratrici osservazioni del collega Giovenosta (quella di Dorelli e la Guida... giuro che me la rivendo... :DDDD) qui postate in merito alla metodologia della didattica musicale hanno sì un senso, seppur relativo. È la stessa relatività applicabile ad un capolavoro quale “Ingloriuous Bastards”, dove non era la “analisi” del nazismo l’intenzione di Tarantino, ma la “spettacolarizzazione” del nazismo, onde cui trarne un’opera cinematografica originale da poter proporre indipendentemente dal realismo delle cose. Ma trovo che quelle osservazioni siano comunque utili a smascherare quel tanto che basta questo “Whiplash”, il quale, a ben vedere, ha un quoziente di ruffianesimo che oltrepassa i limiti, e al contempo limita lo stesso film in un contesto emozionale troppo piccolo rispetto alle potenzialità, che ha sì il merito di saper in qualche modo esplodere anche grazie alla musica e alle prove attoriali che, spalle o non spalle (Johnny Dorelli a parte), sono tutte dall’ottimo in su, ma che tutto sommato rende questo film molto “provinciale”, melenso, una specie di melò dove lui è lui e lei è la musica, e l’altro è quel grandioso marziano di J.K.Simmons, per evitare il cui ingresso nei miei probabili incubi delle prossime tre notti, non mi resta altro che spolverare e riascoltare, prima di andare a letto, il mio prezioso vinile dei “Greatest Hits” degli Abba.
Mamma mia......
PS: se dovete guardarlo doppiato, non guardatelo proprio. Altrimenti sì.
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