Regia di Claudio Fäh vedi scheda film
Buoni e cattivi. Nient’altro. Da una parte un manipolo di vichinghi dissidenti, ribellatisi alla crudeltà del nuovo sovrano e ritrovatisi nel Regno di Scozia in seguito a un naufragio. Dall’altra gli scozzesi, uomini senza scrupoli il cui obiettivo è sterminare i vichinghi prima che questi raggiungano l’accampamento di Danelaw. Eroi e crudeli avversari, con al centro della contesa la (nemmeno troppo) bella figlia del re di Scozia - consueto personaggio dalla tanto ambita quanto goffa mascolinità - che i vichinghi tengono in ostaggio, ma che il padre vorrebbe vedere morta per scoraggiare altri ricatti. Senza dimenticare un monaco guerriero, inserito nell’intreccio per accontentare proprio tutti. Detto dell’innegabile fascino delle ambientazioni scozzesi e di un incedere visivo che - nonostante la pochezza del reparto effettistica - intrattiene piacevolmente, I vichinghi è appesantito da una stucchevole retorica mitologico-religiosa consumata nei dialoghi tra il monaco cristiano e il principe scandinavo Asbjörn, personaggi patinati in cerca di una terza dimensione drammaturgica alla quale si preferirebbe una bidimensionalità più consona al genere. E a un prodotto nel quale i nemici si moltiplicano inspiegabilmente da una scena all’altra, sono guidati da una sorta di falco-GPS e annunciati dalle visioni di un’evitabile principessa indovina che pare Wanna Marchi («io vedo quello che la terra mi rivela»). Finale scult, per non farci mancare nulla.
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