Regia di David Lynch vedi scheda film
Tutto il cinema di David Lynch è fondato sul concetto di destrutturazione: della realtà (“Inland Empire”), dei generi (il noir, vedi “Strade perdute”) o di entrambe le cose assieme (“Mulholland Drive”).
Questa sua ultima fatica è una svolta del tutto inaspettata. Nonostante Lynch sia sempre stato un regista fuori dagli schemi, quindi tutto fuorché prevedibile, la sua scelta di realizzare un film come quello analizzato è davvero sorprendente.
In verità trattasi di un’opera molto in sintonia con la sua poetica, giacché anche qui viene attuato un processo di destrutturazione. Oggetto di tale processo è il concetto di “live” (concerto dal vivo), qui deformato e mutato in un videoclip psichedelico che abbraccia l’estetica anni ’80, dispiegandosi però con piglio post-moderno.
Ne esce un’opera grottesca, eccessiva e straniante, strampalata ma estatica metamorfosi della realtà attuata “semplicemente” grazie ad un illuminato susseguirsi di giochi di sovrapposizione.
Le molteplici figure che macchiano la pellicola sono una prosecuzione visiva del sound, vero e proprio prolungamento in immagine della potenza sonora dell’esibizione della band.
Suddetta esibizione, di conseguenza, non può che venire elevata ed esaltata da questa tempesta di forme e visioni.
Nonostante alcuni abbiano storto il naso (ma quello del regista in questione non è mai stato un cinema per tutti), in realtà ci troviamo di fronte a un’opera lungimirante, ammaliante, energica e a suo modo innovativa.
Poi d’accordo, il merito della riuscita del tutto va in gran parte alla superba performance degli autori di “Wild Boys” (in quanto fan, non posso però tacere l’abominevole trovata di aver reso partecipe Gerard Way – cantante dei My Chemical Romance – all’esecuzione di “Planet Earth”), ma nonostante si tratti di un live dei Duran Duran, questo si rivela prima di tutto un film di David Lynch.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta