Regia di Robert Aldrich vedi scheda film
“Hanno deciso di ammazzarmi! Vogliono spremermi fino all’ultima goccia per poi assassinarmi!”
L’assassinio in questione è metaforico, ma non per questo meno spietato. I vertici della BBC hanno infatti deciso di eliminare il personaggio di Sister George, protagonista molto familiare di una serie televisiva di successo. Motivazione: la condotta pubblica scandalosa e le preferenze sessuali della sua interprete, June Buckridge (Beryl Reid), donna di mezza età dedita all’alcool che convive insieme alla giovane compagna Alice (Susannah York). June intuisce da subito l’intento dei dirigenti televisivi, ma le sue reazioni non fanno altro che peggiorare la situazione, finendo col deteriorare del tutto i rapporti di lavoro e anche affettivi.
L’enorme e inaspettato successo di Quella sporca dozzina dà a Robert Aldrich la possibilità di ritrovare una autonomia produttiva e di rimettere in piedi la “Associates and Aldrich Company Production”. L’occasione è troppo succulenta per il regista, che gira nell'arco dello stesso anno ben due film, L’assassinio di Sister George e Quando muore una stella, opere molto particolari ma soprattutto tra le più personali nella sua filmografia. Entrambi film che criticano spietatamente le logiche del mondo dello spettacolo, entrambi destinati all’insuccesso.
L’assassinio di Sister George, ambientato in una Londra plumbea ed incentrato sulle dinamiche del mondo della televisione, è un melodramma intinto di toni cupi e morbosi, furente e coraggioso nella sua eccessiva carica pessimistica. La sua visione del mondo omosessuale femminile, molto criticata, può destare qualche perplessità ma è innegabile la volontà di Aldrich di evitare qualsiasi edulcorazione. Come in Che fine ha fatto Baby Jane?, il rapporto tra June e Alice è basato sulla dipendenza e sull’idea di possessione. June sfoga i suoi isterismi, le sue paranoie e le sue gelosie sulla giovane amante Alice, bambina poco cresciuto in un corpo di splendida trentenne, soprannominata “Childie” per il suo carattere remissivo e fanciullesco, che diventa sua succube in un gioco malsano e sadomasochistico. A peggiorare la situazione e a far deflagrare i rapporti, è l’ingresso del personaggio di Mercy Croft (Coral Browne), ispettrice della BBC che cela dietro una apparenza austera la sua omosessualità repressa.
Le tre interpreti femminili sono strepitose, ma Beryl Reid regala una prova da applauso ed un personaggio che, pur nelle sue piccole mostruosità, entra a pieno diritto nella schiera delle eroine aldrichiane. La sua June, al contrario del personaggio rassicurante di Sister George che interpreta nella fiction, è una donna sgradevole, patetica, prepotente e rancorosa. Ma sembra l’unica a conservare un barlume di umanità in un mondo che non ne ha. “Mi serve un posto dove piangere!” è la sua disperata e commovente richiesta di aiuto. Ma, come spesso nel cinema di Aldrich, anche lei è destinata in un modo o nell’altro a soccombere, in un finale fulmineo e di agghiacciante crudeltà, con un urlo che resta schiacciato in gola e impresso nel cuore. L'assassinio è stato compiuto.
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Che bella recensione Rocco e quanto mi piacerebbe riuscire a vedere il film dopo averla letta. L'ho segnato nella mia sempre più lunga lista d'attesa ma mi occorrerà un po' di fortuna onde poter vivere sufficientemente a lungo :-))).
Paolo.
Troppo gentile Paolo, mi fa davvero piacere se riesco a innescare un pò di curiosità in un autore secondo me mai giustamente apprezzato. Ciao e grazie!
Grande pezzo il tuo per un grande film. Sono quelli gli anni più fulgidi (e liberi) dell'intera carriera del regista, un periodo in cui ritornò ai vertici anche del successo commerciale con Che fine ha fatto Baby Jane? un’opera difficilmente definibile che segna l’avvento di un nuovo genere, il melodramma-thriller goticamente grandguignolesco, che gioca le sue carte migliori proprio sulle ossessioni private di un laido e feroce rapporto sospeso fra tragedia e horror, affondando con inusitata crudeltà il coltello nelle deformità psichiche dell’infanzia e della vecchiaia, e regalandoci così un compendio di rara misoginia mista a sadomasochismo in una frequente alternanza dei ruoli, fra vittime e carnefici. Un perfido gioco al massacro volutamente sgradevole nel suo eccesso di nefandezze, insomma, che rappresenta davvero un insuperato vertice del kitch cinematografico e utilizza una struttura narrativa sopra le righe, organizzata con un linguaggio a suo modo rigoroso ed essenziale, dove le deformazioni non solo morali, ma anche fisiche, dei caratteri e delle sembianze, vengono amplificate grazie al magnifico apporto di una disponibilità a mettersi in gioco anche fisicamente, che non pone limiti alla sovraesposizione grottesca, corroborata da un trucco pesantissimo che va molto oltre l’espressionismo.
E' nelle scia elaborativa di questa insolita forma fortemente esasperata che si inserisce anche l’inevitabile successivo epigono analogamente acido di Piano… piano dolce Carlotta, che comprende anche l'incompreso ( purtroppo un clamoroso flop al botteghino) Quando muore una stella sul quale ho già speso fiumi di parole ed ho davvero poco da aggiungere a quanto ho già scritto, e naturalmente anche questo L’assassinio di Sister George, uno dei vertici assoluti della sua cinematografia che come giustamente osservi anche tu, rappresenta un'altra, ulteriore crudele variazione sul mondo dello spettacolo nella sua implacabile rappresentazione di una realtà corrotta e squallida. Questa è indubbiamente l’opera più sgradevolmente corrosiva del regista che insieme a Quando muore una stella rappresenta uno straordinario dittico di rara potenza e cattiveria, due pellicole per molti versi complementari (o che in qualche modo si “rispecchiano” l’una nell’altra), ascrivibili indiscutibilmente fra i risultati più perversamente dissacranti del suo percorso artistico: oltre che sul malsano mondo dello spettacolo infatti, in entrambe le opere la cinepresa si concentra anche su scomode e in quegli anni persino “innominabili” diversità (sessuali e di pensiero), varcando le soglie del “proibito” per scandagliare e confrontarsi senza reticenti pudori (infrangendo così molti “inconfessabili” tabù), con tematiche scottanti e inusuali, come quelle del lesbismo (che già altre volte avevano lambito il suo cinema, ma mai in maniera così centrale e prioritaria),e della necrofilia feticista.
Ciao Valerio, speravo tanto in un tuo intervento prima o poi, e considero davvero un onore la possibilità di avere ospitata la tua analisi proprio qui, regalando così a me e ai lettori uno strumento fondamentale per capire questa opera ma anche il cinema di Aldrich. Detto ciò, non posso che condividere tutto quanto scrivi, e ti dirò di più.
Sono finalmente riuscito a vedere "Quando muore una stella" (in inglese con sottotitoli in spagnolo tradotti alla meno peggio), spinto dalla curiosità di colmare le mie lacune "aldrichiane" ma soprattutto dalla "fame" conseguente alla lettura del tuo bellissimo pezzo. Non scriverò una recensione su quel film perchè davvero impossibile aggiungere qualcosa di nuovo a quanto fatto già da te, ma ti dico che è un'opera che mi ha colpito tantissimo. Nonostante i difetti, le imperfezioni, i cambi di registro narrativo (come sottolinei tu), è un film che appartiene innegabilmente al suo autore. Magnifico ritratto di una donna e della sua ribellione, inizialmente intenzionata a mantenere le distanze dalla leggenda-Lylah ("Lylah è morta. Io sono viva. Abituatevi a me"), finisce col subirne l'immedesimazione ed il destino tragico. Kim Novak (forse in questo hai ragione) non è l'attrice più adatta per trasfigurare il "mitico" ma resta comunque bellissima ed il suo personaggio indimenticabile. Naturalmente "The legend of Lylah Clare" è anche un potente di accusa al mondo del cinema, ai suoi autori ed alla loro volontà di cambiare la storia ("Creeremo la leggenda e la leggenda diventerà realtà" afferma il regista/amante Lewis). E poi quel finale crudele e spiazzante, che come in "Sister George" sottolinea quasi l'idea di un ritorno allo stato animale. Davvero magnifico. Grazie infinatamente Valerio
Il bellissimo saggio di Valerio su "Quando muore una stella", opera di Aldrich assolutamente da recuperare, lo trovate qui: //www.filmtv.it/film/15578/quando-muore-una-stella/recensioni/825456/#rfr:film-15578
Grazie invece a te...Hai già detto molto su quel film che adoro... e gradirei davvero leggere una tua più completa recensione al riguardo che sono sicuro aggiungerebbe valore e conoscenza,
Grande film,condivido in pieno il tuo giudizio...e quello di Valerio....che note aggiuntive !!!!...tutte da leggere,oltre al tuo bel commento.
Grazie mille Ezio, è stato un piacere immenso poter condividere con voi le mie impressioni su questo film e riceverne in cambio commenti di impareggiabile completezza e sincerità. Grazie a tutti!
Chapeau ragazzi ( compreso te Valerio:-), non ne ho visto nemmeno uno ma leggendo opinioni, commenti e le trame dei film in essi accennati, qualcosa più di prima ne so anch'io di Aldrich. Grazie a tutti con un saluto dal "pippus":-)
Film crudo e straniante,cifra di Aldrich nei film buoni e meno buoni.Mi piace il carattere di questo regista i film ...secondo i casi.Rocco in grande ascesa! Ciao!
Grazie Anna. Hai ragione, il cinema di Aldrich può non piacere, ma è sempre stato tematicamente coerente con la sua visione pessimistica dell'uomo. Ciao
Bella rece. Visto qualche anno fa e ne conservo un gran ricordo, torbido e speciale. Ed è proprio quello di cui avevo bisogno ora dopo aver visto il timido CAROL di Haynes. Grande Aldrich. Ciao
Ti ringrazio SillyWalter. Sono d'accordo con te, penso che all'epoca si osava molto di più di quanto si faccia recentemente. Un film come "Sister George" oggi sarebbe forse impensabile. Ciao e grazie ancora
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