Regia di Max Ophüls vedi scheda film
Ophuls è conosciuto come uno dei maestri del melodramma. Ed indubbiamente questo “La signora di tutti” è un melò con tutti i crismi del caso. Ma quel che colpisce di questa pellicola del 1934, commissionata dall’imprenditore Angelo Rizzoli al maestro tedesco, unico film in lingua italiana concepito da Ophuls, è la straordinaria visionarietà. L’escamotage della narcosi di Gaby per narrare la storia à rebours, il tema dell’amore intergenerazionale, i movimenti di macchina peculiari, le dissolvenze incrociate (a volte interminabili), la tecnica e l’inventiva de “La signora di tutti” hanno dell’incredibile.
Certo i volti che si stagliano in una fotografia sovraesposta, il linguaggio elaborato, la raffinatezza mista ai barocchismi dei sentimenti e delle passioni eccessive, quasi folli, riportano il film al suo tempo. Ma la prodigiosa tecnica avveniristica è una peculiarità troppo importante per conformare questa pellicola ai film dell’epoca. Una mosca bianca nel cinema italiano degli anni ’30 fatto di mestieranti simpatizzanti del regime (Blasetti, Alessandrini), della cinematografia cosiddetta dei telefoni bianchi (Camerini, il primo Mattoli), ma anche dei melò stesso, quello di Campogalliani e compagnia.
L’ambientazione aristocratica e l’interpretazione in punta di piedi di Isa Miranda e Memo Benassi, ma anche di gran mestiere di Tatiana Pavlova, protagonista della scena più emozionante del film, quella della straziante rincorsa in carrozzella al marito fedifrago, sono elementi che caratterizzano un film dalla cifra stilistica singolare, che porta ad una inusitata rarità espressiva.
Il tocco di Ophuls, moderno e stentoreo, è un valore aggiunto tangibile che valorizza ulteriormente una narrazione dall’altissimo valore simbolico. Un film emblematico.
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