Regia di François Truffaut vedi scheda film
Due coppie borghesi di un sonnolento quartiere residenziale di Grenoble, Bernard e Arlette (Gérard Depardieu e Michèle Baumgartner) e Mathilde e Philippe (Fanny Ardant e Henri Garcin), sono da poco tempo vicini di casa. In realtà Bernard e Mathilde già si conoscono, avendo vissuto otto anni prima una tormentata storia d'amore, ma si sono guardati bene dal lasciarlo trapelare ai rispettivi consorti: lo sguardo indagatore della macchina da presa accompagna da subito l'inesorabile crescendo di passione nel loro "nuovo" rapporto. Com'è Mathilde? "Piuttosto tenebrosa", la descrive Bernard a Madame Jouve, la sua amica che gestisce un circolo tennistico e che sta narrando dall'inizio del film le loro tragiche vicende. Quando Mathilde "pizzica" Bernard in un supermercato sembrano quasi sulla difensiva, come se i due volessero dimostrarsi ancora reciproca razionalità: poi, improvvisamente, il fuoco. "La signora della porta accanto" descrive proprio questo fuoco e le passioni umane che accende e travolge: un film gelido e contemporaneamente percorso da fiammate di insostenibile furore, ovvero uno stile quasi asettico e algido a contraltare una materia magmatica e ribollente di emozioni primordiali. "Prima pensavo che succedessero cose straordinarie sotto le gonne delle donne", osserva Bernard: e Truffaut si rivela quasi subdolo nell'associare volgarità sentimentale, routine matrimoniale e purezza passionale. Quando il marito di Mathilde, ad esempio, confida a Bernard, durante una serata trascorsa insieme dalle due coppie, di essere felice perchè non aveva mai visto sua moglie ridere così tanto, Truffaut gioca sul doppio registro del "tenebrosa" con cui l'aveva inizialmente definita Bernard e la contentezza inconsapevole del marito cornuto. E infatti, appena ne hanno la possibilità, i due amanti fedifraghi tornano a trescare nell'ombra, fissandosi appuntamenti e sognando di fuggire ("Perchè non molliamo tutto e partiamo insieme?"). Ma il tempo e le sofferenze patite lasciano affiorare le ferite che i due si portano dentro: sono schiavi l'uno dell'altra ma senza un futuro insieme. "È stato molto bello ma non si ripeterà più", ammonisce subito Mathilde dopo l'ennesima esplosione delle fiamme della passione. Poi, sempre improvvisamente, le prime avvisaglie del dramma, la variabile impazzita, il marito di Mathilde che scopre da una vecchia fotografia che lei e Bernard si conoscevano (e, subito, lei, impaurita, a chiedere rassicurazioni al marito: "È vero che mi ami?"). Tutto precipita: arrivano-tornano le liti furibonde tra i due amanti, a cui non resta che salvarsi fuggendo nuovamente nella comoda sicurezza delle rispettive famiglie, come Bernard che torna dalla moglie a giustificarsi delle sue azioni, descrivendo la sua storia con Mathilde con un lapidario "avevamo il dono di essere deleteri l'uno per l'altra", o la stessa Mathilde, a cui il marito continua a tendere la mano ("Ti amo così come sei, anche se non ti ho mai capita"). Ma Mathilde crolla, delira, arriva un esaurimento nervoso a "salvarla" dalle proprie responsabilità: Bernard la viene a trovare nella clinica in cui è ricoverata, ma ormai sono lontani. Poi "la pazza diventa normale", viene dimessa e, insieme al marito, decide di traslocare e abbandonare Bernard. Ma, naturalmente, manca ancora il gran finale, e sarà "Nè con te, nè senza di te", perchè "senza amore non si è niente". Scritto da Truffaut insieme ai fidati Suzanne Schiffman e Jean Aurel, "La signora della porta accanto", suo penultimo film prima della prematura scomparsa, immerge una canonica, quasi banale vicenda di "amour fou" nelle atmosfere struggenti del melò (magistralmente catturate dalla fotografia di William Lubtchansky e dalla colonna sonora di Georges Delerue), di cui riesce ad evitare le insidie trasfigurando la profondità e la lucidità dell'osservazione nell'approccio scientifico-analitico piuttosto che nelle forme della cronaca fedele: per questo motivo Truffaut indirizza la narrazione verso la rarefazione emotiva, raggelandone le pulsioni nella rigorosità e nella raffinatezza della messinscena, si affida a due interpreti straordinari e magnetici nell'esibire e sviluppare sui loro personaggi i tormenti di Eros e Thanatos, gioca con i simboli (il tennis, esibito, ascoltato, metaforizzato...) e con gli scherzi del Caso, firmando un'opera appassionata e tagliente per limpidezza espressiva e seduzione spettacolare, lucida e raggelante rappresentazione della follia dei sentimenti dell'uomo moderno.
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