Regia di James Erskine vedi scheda film
Lo guardai negli occhi: ed erano gli occhi di un ragazzino di 16 anni.
Per un non appassionato di ciclismo come me, la storia di Pantani diventa interessante in quanto metafora della caducità della sorte umana: partito dall'ignoto mondo dei ciclisti dilettanti alla volta del patinato e raffinato club dei professionisti, raggiunge rapidamentela suprema fama sportiva che sfiora addirittura il mito; ma da lì segue a breve la precipitosa caduta negli inferi.
La vicenda, raccontata in termini cronologici attraverso le riprese televisive di quegli anni, provano a fare luce sul contesto e sulla personalità del giovane, di cui forse le fasi più intense sono gli interventi della madre e degli amici del paese d'origine, ma soprattutto i pochi spezzoni della intervista concessa a Marco Zavoli con gli occhi lucidi del romagnolo ripresi in primo piano.
Viene narrata l'ostinazione del personaggio-Pantani, che reagisce a sconfitte e a brutti incidenti, con una tenacia estrema mista ad una volontà di ferro, ma che si scontra a un certo punto della sua carriera con le richieste sempre più pressanti del mondo cosiddetto sportivo, in cui sembra ormai chiaro che gli interessi economici e di marketing avevano indotto un intero sistema a barare sulle regole della sportività stessa. E qui Pantani soccombe, torna il bambino magrolino indifeso a cui però è stata tolta l'unica arma di riscatto: la bicicletta.
Ed anche se prova a rialzare la testa un paio di volte, ormai è entrato in un tunnel che lo conduce inesorabilmente fino all'autodistruzione.
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