Regia di Sydney Sibilia vedi scheda film
“In Italia una droga, per essere definita tale, deve essere censita nell’elenco delle molecole illegali del Ministero della Salute: cocaina, eroina, anfetamina, metadone, ecstasy e più o meno altre duecento molecole fanno parte di quell’elenco. Se una molecola non è in quella tabella, allora la puoi produrre, la puoi assumere ma soprattutto la puoi vendere. A 24 anni mi sono laureato in neurobiologia con il massimo dei voti. Ho un master in neuroscienze computazionali e uno in dinamica molecolare. Negli ultimi mesi ho messo su una banda che gestisce un giro d’affari di centinaia di migliaia di euro. [...] Mi chiamo Pietro Zinni e sono un ricercatore universitario.”
Pietro Zinni (Edoardo Leo) è un ricercatore trentasettenne presso un’università romana, dove si aspetta di entrare ormai a tempo indeterminato dopo aver vissuto per anni l’angoscia di rinnovi su rinnovi e aver tirato avanti con mensili infimi e ripetizioni a studentelli borghesi insolventi. Ma le cose non vanno per il verso giusto: nella morsa fra raccomandazioni e tagli alle borse di ricerca, Pietro si ritrova a spasso e non trova di meglio che dire alla convivente Giulia (Valeria Solarino) che ha avuto l’indeterminato, tanto per nascondere la disperazione.
Dovendo rapidamente far fronte alla cazzata detta alla fidanzata, che peraltro fa l’assistente sociale in una comunità di recupero per tossicodipendenti, Pietro decide dopo una disavventura di lanciarsi di nascosto nel mondo delle smart drug, progettando una molecola non censita che dia sballo ai giovani delle serate romane. Per fare questo recluta le migliori (e più sprecate) menti trombate dall’università: il chimico Alberto Petrelli (Stefano Fresi), lavapiatti in un ristorante cinese, per l’attività di sintesi; l’antropologo Andrea De Sanctis (Pietro Sermonti), attualmente in cerca di lavoro presso un’officina, che istruisca la banda a darsi un’aria da spacciatori credibili; i latinisti/benzinai notturni Giorgio (Lorenzo Lavia) e Mattia (Valerio Aprea), già adusi alla dura vita di strada; l’archeologo precario Arturo (Paolo Calabresi) per il suo insospettabile furgone del Dipartimento di Archeologia; l’economista Bartolomeo Bonelli (Libero Di Rienzo), fidanzato con una giostraia di etnia sinti e pieno di debiti di poker, al fine di gestire finanziamenti e fondi per l’attività.
La banda mette in piedi un sistema di produzione, vendita (o spaccio, a seconda delle sfumature) e monitoraggio degli effetti della sostanza trascorrendo serate su serate in discoteca, riscuotendo un enorme successo. Il giro comincia a farsi bello grande, le notti insonni si accumulano e il tenore di vita si rende difficilmente mascherabile, senza contare il rischio di pestare i piedi a qualcuno…
“No, no, no: hai detto «un’aspra diatriba legale».”
“Chi, io? Un’ast-... Non so manco che vor di’!”
“Tu sei laureato!”
“’n so’ laureato, io.”
“Beh, io so’ stato chiaro: non assumo laureati!”
“Ma nun so’ laureato, ma m’hanno cacciato da scola in terza media che spignevo ‘r fumo!”
“Non siete affidabili.”
“Ma che stavo qua, se ero laureato, abbia pazienza, no?”
“Sei il terzo, ‘sta settimana!”
“’n so’ laureatooo! E vabbè, sono laureato, sì. Sì, ma guardi che è un errore di gioventù del quale sono profondamente consapevole!”
Un monologo iniziale anticipatore degli eventi, ad introdurre il tono caustico e sardonico con cui si prepone di affrontare un tema delicato, seguito da “Why don’t you get a job?” degli Offspring sui titoli di testa come motivo accattivante generazionale: “Smetto quando voglio” inizia così.
Opera d’esordio del giovane salernitano classe 1981 Sydney Sibilia - anche co-sceneggiatore con Pietro Attanasio - si tratta essenzialmente di una moderna commedia all’italiana non priva di una certa freschezza e vitalità, tant’è che alcuni vi hanno visto una sorta di moderno “I soliti ignoti”. Il tema inquadrato è in fondo tremendamente drammatico: qual è il ruolo sociale dei ricercatori e dei laureati italiani, eternamente giovani alla soglia dei quarant’anni, riccamente titolati e sfruttati, poco compresi e con una pag(hett)a ridicola? Entrare di ruolo in università non è semplice e allora, una volta trombati, ci si rivolge al mondo del lavoro. E questo cos’ha da offrire loro, se non mestieri degradanti e inadeguati alla loro formazione? “Smetto quando voglio” va ad esacerbare questa situazione rendendola divertente, ma il dramma di base resta.
Sibilia riesce ad imprimere un bel ritmo e ad evitare grossolane cadute di stile, limitandosi a qualche piccolo zoppicamento qua e là (specie per le dinamiche coniugali del protagonista) e chiudendo la vicenda in maniera comunque dignitosa, congegnando persino una scena finale arguta che ricalca l’amara disillusione subito introdotta. A voler essere pignoli, non mi ha per niente convinto la fotografia di Vladan Radovic, (metaforicamente?) satura e poco luminosa per lunghi tratti, onestamente poco gradevole all’occhio.
I personaggi sono ben tratteggiati, nonché assai ben interpretati da una buona parte della combriccola di “Boris” (Pietro Sermonti, Valerio Aprea, Paolo Calabresi). Edoardo Leo è un protagonista adeguato coi suoi tratti ordinari e le incursioni di Stefano Fresi e Libero Di Rienzo rientrano fra i momenti comici migliori. Piacevoli anche le parti minori, fra il cameo (forse un po’ sbrigativo) di Neri Marcorè nei panni del villain e le particine ritagliate su misura a Matteo Corradini e Luca Vecchi del collettivo comico romano The Pills. Il terzo di essi, peraltro, è Luigi Di Capua, co-sceneggiatore dei successivi capitoli della trilogia di “Smetto quando voglio” a cui Sibilia ha dato vita lo scorso anno.
Il più grande pregio di “Smetto quando voglio”, ad ogni buon conto, rimane questo: la mattina successiva alla visione del film, il laureato si sveglia un po’ incazzato come sempre, ma la sera prima almeno ha potuto riderci un po’ su. Non si butta via nemmeno quello. “Mica è poco! No?”
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta