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Smetto quando voglio

Regia di Sydney Sibilia vedi scheda film

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La recensione su Smetto quando voglio

di scapigliato
7 stelle

Edoardo Leo è ormai una garanzia, un marchio, uno stile. Pur non essendo né Verdone né Giallini, l'ex pupetto de Ho sposato un calciatore,  tra regia e recitazione si è creato uno spazio tutto suo e una rete di collaboratori con cui riesce a dare il meglio di sé. È uno dei volti più sani e freschi della scena brillante italiana e lo conferma il fatto che sia quando dirige che quando recita soltanto sa apportare un valore aggiunto al film che ne risolve ampiamente più della metà del successo.

L’aspetto più discutibile del film è però la mancanza di una posizione netta nei confronti dei contenuti trattati. La satira sul precariato cronicizzato, soprattutto universitario, è interessante e anche ben congeniata tra scrittura e caratteri, ma nell’edulcorazione di un certo tipo di vita tutta all’italiana – la corsa all’arricchimento selvaggio, poco importa se illegale – perde di serietà e si fa quasi pure inquietante. Inquietante come il personaggio di Maurizio, interpretato da Guglielmo Poggi, fotografia neanche troppo sulle righe dei ventenni 2.0, quelli dell’era digitale e liquida, iperconnessi con la virtualità e drammaticamente sconnessi dalla realtà, il cui motto sempre sintetizzarsi in questo irritante personaggio: belle macchine, tanti soldi facili, tante troie, sballo come imperativo e nessuna responsabilità, nessuna etica, nessuna dignità; cultura, informazione e consapevolezza civile neanche a parlarne.

Anche il mondo universitario non esce bene. L’immagine che se ne dà è sfocata, concentrata solo sui mali politici e del baronato. La figura del ricercatore, invece che essere applaudita anche per integrità, oltre che per il ruolo sociale che ricopre, viene sbeffeggiata, sempre satiricamente, senza però un ribaltamento finale che ne giustifichi tale satira. Sembra che l’università, lo studio, la laurea, il sapere in generale sia additato come origine del precariato italiano, sia lavorativo che culturale.

Resta il fatto che Smetto quando voglio è una felicissima novità nel panorama cinematografico italiano, concepita e confeziona seguendo il modello del cinema di oltreoceano, percorso tra l’altro già intrapreso da più di un decennio in terra di Spagna con ottimi risultati a livello formale. L’applaudita cattiveria senza sconti del film di Sydney Sibilia – il politicamente scorretto ci piace sempre, ma sembra ormai una moda ludica ed effimera – segue ovviamente le orme della feroce satira di una certa ala del cinema italiano nata dal furore di Boris (2007-2010) e di cui ne incarnano lo spirito sia Valerio Aprea, Pietro Sermonti e Paolo Calabresi, sia Stefano Fresi, Lorenzo Lavia e Libero De Rienzo che si unisce alla bella compagnia con lo spirito giusto. Rimane il rammarico per non aver svoltato la commedia in una volata per il mondo della ricerca e per un’immagine di italiano-medio nuova e più incentrata sui valori della cultura e della cittadinanza attiva, invece che sui disvalori dell’accumulo di ricchezza, della “bella vita”, etc… Dopotutto, se è vero che la commedia italiana fotografa la situazione critica del nostro paese e ne ridicolizza i “mostri”, è anche vero che non dovrebbe fermarsi solo al puro esercizio fotografico, ma provocare, rischiare, proporre nuove figure, immagini, scenari.

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