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Smetto quando voglio

Regia di Sydney Sibilia vedi scheda film

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La recensione su Smetto quando voglio

di ROTOTOM
8 stelle

Un’altra commedia italiota sulla crisi? No. La crisi è presente, ma la commedia non è ne’ italiota ne’ ridanciana, piuttosto è una sorprendente opera prima divertente e ben girata, che pesca nelle esperienze paradossali pseudo lavorative del regista appena trentenne e le scaraventa sullo schermo con acido scherno.



Se il regista Sydney Sibilia è un esordiente, il cast è composto da noti caratteristi dalle facce (il film di genere si nutre di facce) azzeccate per ogni ruolo. Gran parte di esso deriva infatti da Boris, il format più intelligente degli ultimi anni e dissacrante la pomposa seriosità del cinema nostrano.
Oltre al cammeo villain di Neri “er murena” Marcorè ci sono Sergio Calabrese, archeologo; Edoardo Leo, ricercatore; Stefano Fresi, chimico; Valerio Aprea e Lorenzo Lavia,  i due latinisti;  Libero di Rienzo, economista; Pietro Sermonti, antropologo. Questa la banda di intellettuali allo sbaraglio. In un tessuto sociale multietnico e frammentato, i sette  ex docenti universitari finiti a fare umili lavori sottopagati si muovono per sfangarla e veder riconosciute il loro talento.
Grazie alle loro competenze riescono ad immettere sul mercato una droga ottima, nuova, perfettamente legale. Si trasformano così da miti intellettuali a sgamata banda di spacciatori.  Crisi economica e crisi di valori vanno a braccetto in un gioco al ribasso sempre più grottesco e inconcepibile da chi ha visto, in altri tempi, il riconoscimento del valore individuale, del lavoro e della morale.



Smetto quando voglio non è però un film moralista, non pretende di insegnare alcunché, non è un film di denuncia, non è retorico. Visto che di commedie ben fatte in Italia se ne fanno sempre meno e non a caso il rimando alla gloriosa “commedia all’italiana “ viene tirato fuori a sproposito per qualsiasi cosa che si elevi di mezzo punto dalla mediocrità, si è reso necessario iniziare a parlare di tutto quello che questo film non è.

Cos’è allora Smetto quando voglio? Un’iperbole grottesca e divertita sui molti vizi e le poche virtù della società contemporanea italiana. Quella del disprezzo della cultura come valore di riconoscimento sociale, della politica maneggiona e anacronistica, della multiculturalità  dello sfruttamento e dell’assoluta mancanza di un  qualsiasi futuro.

La commedia, sguazzando nell’ambito antropologico contemporaneo mischia, questa volta a ragione, la  tradizione della commedia acida all’italiana (al netto della drammaticità) da cui prende il soggetto de I soliti ignoti,  il genere della black comedy di stampo anglosassone e il crime movie americano ma senza le derive pulp di questi due generi. Il tutto rielaborato in chiave originale.
Benché sia un film con un tema intinto nella realtà contemporanea, la scelta di distanziarsi stilisticamente dal verismo è ratificata dalla fotografia iperrealistica, lisergica e fluorescente, dai forti contrasti.  Il film è una commedia e tale vuole essere senza ergersi su alcun piedistallo. E’ la cosa più vicina ad un film di genere che gli ultimi anni italiano abbiano proposto in fatto di cinema.

Il pregio è quello di abbandonare del tutto l’estetica  in voga in tanto cinema di derivazione televisiva, cercando una propria coerenza per contenere una storia paradossale, divertente, ma senza diventare sciocca. La sceneggiatura è di  Valerio Attanasio , Andrea Garello  , Sydney Sibilia e in questa scrittura frizzante spiccano i dialoghi, arguti, divertiti, mai esplicativi, per una volta estremamente funzionali alla storia visto che si parla di cultura e la parola è il primo biglietto da visita dell’uomo sociale. 
Dialoghi inseriti in scene dove nulla è lasciato al caso. Ogni inquadratura è densa di particolari , ogni vestito, sguardo, scenografia, gronda una sana ironia iconoclasta degli usi e costumi dell’italidiozia nazional popolare.



Tantissime le scene azzeccate attraversate da un malinconico adagio: la cultura è la base dell’identità di ogni persona, la sua negazione nella società contemporanea è l’unica via di salvezza.  Il riconoscimento dei talenti dei criminali improvvisati avviene non nella luce accademica quanto nel buio impastato di micro-umanità borderline.
Tra spacciatori  veri , zingari di etnia Sinti, studenti impasticcati e battone di (medio) alto livello, la parabola dei “ricercatori” è meno grottesca dei fantasiosi “contratti di lavoro in prova per 18 mesi senza retribuzione” proposti dalla società civile e che accarezzano con guanto ferrato una realtà, quella si, demente.  



Ma è anche una commedia che non scimmiotta pedissequamente i modelli di riferimento. Le caratteristiche tradizionali dell’homo italicus sgorgano felici nell’adagio della creatività , dell’arte di arrangiarsi che tutti i popoli ci inividiano, mischiata ad una ferma, ottimistica consapevolezza di riuscire nelle imprese più assurde sostenute dalla conoscenza.
Ancora cultura , quella che in Italia viene considerata una fastidiosa formalità che intacca il modello lavorativo imperante della bassa specializzazione a basso salario. Quando non nullo. In questo caso il crimine paga.
E se l’unico che può permettersi di pagare ormai è il crimine, stiamo freschi. Come il protagonista , in fondo. Al fresco e contento per una chiusura perfetta, circolare, e felicemente assurda. Non troppo , però.

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