Regia di Mario Camerini vedi scheda film
1937. Nella commedia brillante “Il signor Max” due classi sociali, due mondi si contrappongono: la classe media o piccolo borghese e quella aristocratica, dei nobili. Le simpatie del regista e della scrittura firmata Mario Camerini e Mario Soldati, fin dal soggetto di Amleto Palermi, sono chiare e palesi per la prima. La sceneggiatura sviluppa il soggetto verso un ingresso dalla porta principale da parte del giornalaio Gianni per il bel mondo vacuo e benestante dei ricchi. Il cosiddetto riscatto sociale, che ne “Il signor Max” è più un gioco che una vera propria aspirazione, forse neanche esiste. D’altronde il buon Gianni si concede una volta all’anno una vacanza e l’amico/cliente Max (il vero nobile) gli regala un biglietto per viaggiare in prima classe. Tramite il meccanismo del doppio ruolo e del naturale qui pro quo Gianni diventa il conte Max Varaldo (emula l’amico), si sdoppia per corteggiare la nobildonna “Donna Paola” e per frequentare quel presunto bel mondo. La cameriera Lauretta è l’elemento di disturbo, lei segretaria addetta all’acquisto di riviste per gli aristocratici riconosce il semplice giornalaio ma questi si camuffa da nobile, si “atteggia”, entra nell’equivoco per entrare nelle grazie dei nobili e per tenere lontani i sospetti della umile servetta. Quando Gianni si rende conto di essere ridicolo, inadeguato, non conforme e formato per stare nell’alta società, ritorna ad essere se stesso.
Come scrive Paola Cristalli:”… il lieto fine di Gianni prevede il ritorno all’ordine, il matrimonio con la segretaria (però diplomata, d’altra parte anche lui ha fatto il liceo), l’odore di chiuso dell’appartamento degli zii, il ritratto del Duce che controlla dalla parete”. La conclusione ha una morale che va al di là del banale “propria in pelle quiesce” di Orazio, e della storia d’amore che si compie; è una morale fascista quella della pellicola diretta egregiamente da Mario Camerini: la classe media, lavoratrice, vera carne di produzione del regime deve sposare i propri pari, fare figli e non coltivare ambizioni che non le competono. Il regime è nato da una rivoluzione di popolo diceva il duce, per arrivare al potere ha fatto un patto con la classe borghese e alto borghese prima, con la chiesa subito dopo e il nucleo del consenso sono le folle oceaniche delle adunate fasciste. La propaganda, dagli anni trenta anche con “l’arma più forte del mondo” ovvero il cinematografo, fa leva su quegli spettatori che riempiono le sale per vedere i nuovi divi e il filone dei “Telefoni bianchi” ha l’obiettivo di diffondere un pensiero rassicurante al popolo minuto, essi devono riconoscersi nei loro beniamini sul grande schermo (Vittorio De Sica, Assia Noris in questa pellicola), sognare, distrarsi, divertirsi ma tenendo i piedi per terra. Ecco svelato il messaggio subliminale nell’anno XV dell’era fascista.
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