Regia di Gilles Paquet-Brenner vedi scheda film
Contattata da una Associazione di investigatori dilettanti col pallino per i cold case, la giovane e inconcludente Libby Day dovrà disseppellire i dolorosi ricordi della sua infanzia ed aiutarli a scagionare il fratello, già condannato come unico responsabile del massacro della madre e delle sorelle e di cui lei è stata l'unica sopravvissuta. Ma la verità si rivelerà un luogo ben più oscuro e misterioso di quanto possa sembrare.
Dall'omonimo romanzo di Gillian Flynn e sceneggiato dallo stesso autore, questo family-thriller del rimosso e del senso di colpa non brilla certo per l'originalità del solito plot sui torbidi inganni di una provincia rurale di anime semplici e turpi delitti nè tantomeno per l'appeal di personaggi scialbi e contraddittori le cui motivazioni e dinamiche psicologiche sfuggono persino alla sinossi del più aggiornato manuale di psichiatria forense. Se è vero che l'America continua ad interrogarsi sulle sperequazioni economiche alla base dei processi delittuosi sin dai tempi di una pietra miliare dell'inchiesta letteraria firmata Truman Capote (In a Cold Blood - 1965), il Kansas e le sue immense distese agricole sono ancora una volta lo scenario per un massacro familiare in cui è più facile vedere pretestuose motivazioni esoteriche piuttosto che il realismo di una disperazione sociale che affonda le sue radici nello strozzinaggio del sistema creditizio e nelle incertezze di un'economia di sussistenza basata sui raccolti e le intemperanze del clima. Detto così il soggetto non sarebbe neanche tanto male e farebbe volentieri sorvolare sull'abusato clichè del familicidio tanto in voga tra gli sceneggiatori del thriller di provincia (House at The End of the Street - 2012 - Mark Tonderai) come pure sui pretesti di una detection story dove il privato sopperisce alle inadempienze del pubblico, ma quello che veramente rende indigesto questo polpettone di 113 minuti è una struttura del racconto in cui l'insopportabile flusso di pensieri in voice over della protagonista fa da contrappunto ad una confusa dialettica dei piani temporali nel loro continuo andirivieni da un passato di peccati originali (il satanismo, la violenza domestica, l'abuso pedofilo, la truffa assicurativa, i dissapori familiari) ed un presente di connivenze e omertà in cui riesce veramente difficile capire chi ha fatto cosa e soprattutto perchè. La spiegazione ovviamente arriva sempre fuori tempo massimo quando, esaurite tutte le possibili ramificazioni del plot, la situazione precipita irragionevolmente verso un finale inverosimile quanto scontato, segnando la revisione di un processo fatta nel tempo di un lancio d'agenzia (sic!) e la riabilitazione di un reo che pure qualche colpa dovrebbe avere. Insomma il festival delle incongruenze narrative e dei personaggi di cartapesta solo per dirci che ristabilendo la verità si ritorna a nuova vita, sia uscendo dalla prigione del proprio passato che da quella più angusta di un carcere federale ed arruolando allo scopo il caschetto biondo (mortificato da un logoro berretto sportivo) di una dimessa Charlize Theron ed il teutonico e tatuatissimo Corey Stoll fresco reduce dagli orrori metropolitani firmati Guillermo del Toro (The Strain - 2014). Montaggio ai limiti della decenza. In uscita nel nostro paese dal 22 Ottobre 2015 distribuito dalla M2 Pictures. In a Cold blood or in a Cold case?
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