Regia di Cédric Jimenez vedi scheda film
Vedendo FRENCH CONNECTION, ad un certo punto, quando l’inchiesta del titolo si arena a fine anni settanta, la corruzione dilaga di nuovo e le istituzioni tacciono, vengono in mente per “assurdo” alcuni fatterelli della nostra cara Italia. Per esempio, perché Messina Denaro non viene catturato? Perché nessuno dà importanza all’attentato che si stava preparando al giudice della trattativa Stato-Mafia Nino Di Matteo? Quando il giudice Pierre Michel cade sull’asfalto colpito alla testa ti salgono i brividi e l’indignazione. Da noi decine di giudici, poliziotti e carabinieri sono caduti per aver fatto il loro dovere. Eppure ogni volta dimentichiamo, abbozziamo e tutto ricomincia uguale a prima. Questa filippica iniziale probabilmente è solo retorica e non ha nessuna rilevanza ai fini valutativi della pellicola.
FRENCH CONNECTION racconta della mafia marsigliese dal ’75 al ’81 con protagonisti il giudice Michel e il boss Zampa: le loro vite private e pubbliche, le battaglie per la legalità del primo e i traffici del secondo; la squadra del giudice contrapposta alle interconnessioni col malaffare italoamericano, francoarmeno e francocorso. Il regista autoctono (di Marsiglia) Cedric Jimenez costruisce un polar moderno innestato al poliziesco e ai gangster-movie d’oltreoceano, dando un ritmo adrenalinico ai 135’. Nella prima ora non si possono non rimpiangere Alain Delon e Bebel Belmondo, poi la vicenda conquista con determinazione, avvince e convince. Lontano dai modelli diversamente svolti nei sessanta-settanta, dai maledettismi alla Marchal o Béat e vicino, piuttosto, al nostro recente Michele Placido, Jimenez osa e vola alto: dagli scenari d’antan perfettamente riprodotti sia in esterno che in interno, bar con le insegne consumate dal sole ai night fumosi e ammiccanti, fino alle discoteche odoranti di Disco-Music; la cura del materiale visivo e cartaceo dell’epoca, per finire al cast. Jean Dujardin e Gilles Lellouche funzionano, specie il primo. Idem le mogli di Pierre e Tany, interpretate da Celine Sallette e Melanie Dautey. Il matto di Benoit Magimel è viscido e fascinoso quanto basta (e ricorda pericolosamente il giornalista Filippo Facci). Il primo commissario, sodale di Michel, sembra ricalcato sui baffi, gli occhiali e la sigaretta perenne dello scrittore marsigliese Jean-Claude Izzo. E poi tanti volti giusti, villain e brutti ceffi, tra cui spicca il fragile Marco Da Costa impersonato da Cyril Lecomte. Chapeau al cinema francese.
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