Regia di Cédric Jimenez vedi scheda film
Romanzo criminale
Ricostruzione impeccabile di uno spaccato della storia malavitosa d’oltralpe: il crimine organizzato con epicentro Marsiglia.
Una vera e propria famiglia allargata capeggiata dal boss dei boss, un italiano d’origine, tanto potente e intoccabile da imporre agli altri il silenzio e la sua volontà. Senza che nessuno osi battere ciglio. Almeno finché è all’apice della gloria grondante rosso sangue.
Racket e spaccio di eroina, in patria come all’estero, gli agganci fruttuosi a New York.
La ricchezza, l’onore, il rispetto, la fratellanza.
Amicizie eccellenti. Polizia e giustizia corrotte.
Negli anni ’70 Marsiglia è comandata da quella che viene chiamata French Connection.
Un giudice, combattente impavido ostinato, avrà il compito di smantellare la solidissima organizzazione.
Un eroe borghese, la sua storia.
E la storia del suo più acerrimo nemico, il boss innominabile, speculare all’uomo di legge per codice morale, per ferrea disciplina, rigore, nervi saldi e senso della realtà e lealtà sul lavoro.
Per fedeltà e abnegazione nei riguardi della donna che ama e dei propri figli.
Perfino nella tenerezza e nella compassione.
In alcuni istanti, quando la penombra si staglia sui loro volti è possibile confondere i 2 uomini: simile fisionomia, stessa fronte alta, stessa pettinatura, stessa bella faccia simpatica.
Chi scrive dovrebbe definirsi privo del senso della vista per non ammettere che il film in questione è un gran bel film. Sotto il profilo tecnico-formale.
Dall’agile e disinvolta direzione (che all’occorrenza alterna camera a mano alla più tradizionale mdp), al montaggio serrato, alla fotografia cupa seppur sotto il sole della città di mare, ai colori caldi, alla colonna sonora che scandisce il susseguirsi delle epoche e i conseguenti mutamenti nei gusti e nei costumi, a un cast ben assortito, all’eccellente prova attoriale di Jean Dujardin e del suo uguale e contrario Gilles Lellouche.
Opera, dunque, che si lascia guardare, seguire e coinvolgere il giusto.
Tutto molto bello, tutto perfetto, eppure c’è un ma.
French Connection risulta essere il compito migliore realizzato dal secchione della classe.
Possiede le caratteristiche per fare spettacolo, per intrattenere alla grande il grande pubblico, per richiamare i nostalgici del gangster movie, ma è deficitario di quell’elemento -essenziale- che ne comporterà l’inesorabile, piuttosto rapido, scivolamento nell’oblìo.
Semplicemente non possiede un’anima e nemmeno uno sguardo.
Sembra che il regista (bravo, per carità) abbia passato al setaccio i grandi del cinema cimentatisi nel genere -Coppola, Scorsese, De Palma, Leone- imparando a memoria la lezione senza però riuscire a coglierne l’essenza o comunque a riprodurne il genio.
Nessun lirismo, nessun respiro epico, nessuna forza espressiva dirompente, nessun cortocircuito tra realtà e mito.
La visceralità e l’empatia sono al grado zero.
E il traboccante senso del tragico che contraddistingue i suoi umanissimi (anti)eroi è, come dire, ai minimi storici.
Con French Connection non siamo nemmeno dalle parti del polar francese d’antan, e dei noir polizieschi rarefatti, laconici, folgoranti di Melville.
Nessuna atmosfera decadente, nessuna malinconia di fondo. Nessuna riflessione esistenziale.
Certo, il fatalismo è presente, come potrebbe non esserci. I 2 antagonisti ci sguazzano dentro, sono fin troppo, e troppo scialbamente, consapevoli (e così lo spettatore) della propria fine.
Come d’altronde è registrabile una discreta caratterizzazione dei personaggi, ma lo scavo psicologico rimane ugualmente in superficie.
Sono i fatti (l’accumulo dei fatti) più che i percorsi interiori, a prevalere.
E poi, nessun attore etico in impermeabile, nessuna faccia d’angelo a marchiare a fuoco un genere (alla francese) che da tempo cerca di ritagliarsi, senza davvero riuscirci, un proprio spazio tra i gusti del pubblico, di conquistare numeri e credibilità, di crescere e affermarsi definitivamente. Imprimendo possibilmente nell’immaginario comune volti nuovi e storie moderne dal sapore di glorioso passato.
Ma se non è una questione di sensibilità artistica, allora, forse, sono i tempi ad essere cambiati e così lo spirito. Inadeguato e fuori tempo massimo a rileggere e riscrivere storie ed atmosfere che oggi percepiamo solo come un vago ricordo.
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