Regia di Gareth Evans vedi scheda film
Il secondo film di Evans con l’abilissimo e convincente Iko Uwais è in effetti un raro caso di sequel migliore del primo, ancora più sofisticato nel realismo dei combattimenti nell’arte marziale indonesiana. Sono film di ottima fattura e di un realismo che lascia sgomenti, ma equivalgono in termini di novità cinematografica e stimolo culturale all’arrivo dei primi film di arti marziali da Hong Kong nei primi anni 70 (Cinque dita di violenza, ecc.), ebbero un grande successo ma poi stancarono finché dovettero apportare qualche innovazione stile Bruce Lee. Qui siamo di qualità incommensurabilmente superiore a quelli di Hong Kong ma a livello di trama e svolgimento siamo all’immancabile massacro di tutti personaggi coinvolti finché rimane in piedi solo il protagonista. Tra l’altro per la prima volta in questo film ho trovato un’incongruenza o sbavatura che nel perfezionismo professionale del regista mi ha colto di sorpresa, strano sia passata inosservata: nella sequenza della lotta nel cortile del carcere, nel fango di sottofondo e nelle riprese finali, si sono perse un congruo numero di comparse, minimo la metà di quelle entrate, due intere squadre di guardie carcerarie in assetto antisommossa più un numero superiore di carcerati che si scontravano, nelle sequenze finali dello scontro a terra nel fango i corpi che si potevano contare a terra erano pochissimi, la maggior parte sembravano scomparsi nel nulla (che abbiano fatto una pausa caffè?). Il mio timore è che se non troverà qualche invenzione in termini non solo di realismo nei combattimenti ma anche di idee, i sequel successivi non avranno più la stessa generosa accoglienza dei primi prodotti ben confezionati di Evans.
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