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The Raid 2

Regia di Gareth Evans vedi scheda film

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La recensione su The Raid 2

di alan smithee
10 stelle

Attesissimo dopo la magia del primo The raid, una delle più genuine sorprese al Torino Film Festival di qualche edizione orsono, in occasione della quale ebbi modo di vedere il massiccio “all american boy” indonesiano cineasta Gareth Evans, accorso in sala per la presentazione ufficiale, e meritatamente incensato da un quasi esaltato Gianni Amelio, letteralmente stregato dal film, questo numero due supera di gran lunga, fatto per nulla scontato, il suo ottimo capostipite. E diventa l'epica definitiva di un genere frequentatissimo come lo è il “fight-movie”, contaminato questa volta, ben oltre le sbarre del carcere epicentro del primo esagitato episodio, per sconfinare nei territori del “gangster & malavita-movie”.

Un film che è un delitto, una follia insensata che diserti una volta ancora il grande schermo: proprio questa volta che Evans si apre a inquadrature di ampissimo respiro, quasi a rivendicare la fine di una claustrofobia da primo episodio che ormai gli sta decisamente stretta.

Quadri meravigliosi in cui tra un cielo plumbeo e un campo di cereali, da lontano si riesce anche a scorgere una fossa sinistra che nulla di buono presagisce: poco distante, anzi quasi sull'orlo, giace inginocchiata la imminente vittima, destinata a prendere possesso di questo suo definitivo freddo giaciglio dopo una fine la più violenta e truce che si possa immaginare.

Ma tutto questo è solo l'inizio: di un calvario da parte del nostro eroe, poliziotto che, uscito da un incubo circoscritto tra le sbarre di una galera fatiscente ma inespugnabile, viene proiettato, anzi catapultato, in uno scenario inizialmente circoscritto nuovamente ad una prigione (ove è detenuto il figlio di un boss che la polizia cerca di incastrare da tempo), ma dove l'infiltrato deve gettare le basi per una amicizia di comodo che lo porti, attraverso il giovane rampollo viziato, su fino alle alte sfere della disonestà e del malaffare, per poterle incastrare tra le maglie di una giustizia che finora pare solo soccombere alla criminalità organizzata.

E la storia si dipana precisa, seguendo una lirica maestosa che alterna sfaccettature anche complesse della nuova amicizia/tradimento, con personalità malvagie ed armate sino ai denti davvero entusiasmanti: un vecchio barbone che nasconde doti acrobatiche ed agilità non comuni, una killer orba d'un occhio, ma dai martelli letali che flagellano carni come in un macello del giudizio, un altro killer armato di mazza da baseball che pretende gli sia restituita la palla dopo che questa stordisce o elimina avversari con millimetrica precisione; un infido serpente claudicante che si insinua tentatore nella mente condizionabile del giovane boss frustrato, per spingerlo a tradire il padre a proprio vantaggio.

Iko Uwais, maestro di arti marziali e Tai Chi in particolare, vive e prosegue con tenacia e gran carisma coreografico la sua avventura cinematografica in simbiosi, almeno per ora, col suo regista talentuoso Gareth Evans, che già ai tempi del proprio esordio nel non lontano 2009, con l'apprezzato Merantau warrior, ce lo presentava poco più che ragazzo alle prese con un riscatto e una maturazione dai risvolti insolitamente melodrammatici.

Ma, tra i molti personaggi coinvolti, quasi tutti più impegnati fisicamente che con sfumature espressive, è il giovane Arifin Putra, nel ruolo del figlio immaturo ed ansioso di scalare al dispotico potere paterno, che la vince su tutti per la valida resa del suo sfaccettato ed tormentato personaggio: quello di figlio eternamente impreparato e guardato con sufficienza da un padre troppo intelligente, troppo spietato, e anche fermamente consapevole e rassegnato di non detenere un degno erede per un impero che ormai vacilla inesorabilmente, minacciato da squali sempre più voraci.

E tra picconate in pieno volto, ossa spezzate, sgozzamenti e altre indimenticabili irresistibili truculenze ed efferatezze che faranno impazzire una buona parte del pubblico giovanile avvezzo allo splatter girato con grande classe e realismo, The raid 2 consacra Gareth Evans ad autore culto, che spende anni di vita e carriera unicamente per la gestazione di questa sua opera perfetta, curata nei minimi dettagli, ove il cineasta si fa letteralmente in quattro scrivendo, dirigendo, producendo e supervisionando la sua fluviale, scatenata, sanguinolenta e brutale epopea del bene che sovrasta poco per volta e abbatte un male sproporzionatamente immenso ed apparentemente invincibile.

 

 

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