Regia di John Boorman vedi scheda film
La classe non è acqua. Il tempo passa inesorabile per tutti, ma alcuni vizietti non si scordano mai. È indubbiamente possibile perdere un po’ di smalto e smarrire la lucidità degli anni migliori, non seguire più per filo e per segno ogni fattore, ma gli ideali e la stoffa rimangono intatti, cosicché una semplice scintilla riattiva la voglia di mettersi in gioco, di affrontare nuove sfide con la caparbietà di sempre.
Alla veneranda età di 81 anni, John Boorman non è più impeccabile come fu nel suo periodo d’oro, che lo vide dirigere in poco meno di una quindicina di anni almeno tre opere fondamentali (in ordine di realizzazione, Duello nel pacifico, Un tranquillo weekend di paura ed Excalibur), ma Queen and Country rispolvera un talento cristallino, sprigionando un ardore poderoso e insofferente alle regole che non lascia alcun dubbio sulla bontà del suo ritorno in campo, dopo circa un decennio di assenza.
Londra, 1952. Il diciottenne Bill Rohan (Callum Turner – Animali fantastici: I crimini di Grindelwald) risponde alla chiamata del servizio di leva obbligatorio di due anni e, una volta giunto al campo, incontra Percy Hapgood (Caleb Landry Jones – Antiviral, Scappa: Get out), con il quale stringe un forte legame di amicizia.
Insieme assumeranno il ruolo di istruttori, mentre molti loro compagni vengono mandati in Corea per combattere i cinesi.
Nel frattempo, conoscono l’amore con Ophelia (Tamsin Egerton - #Scrivimiancora) e l’intrusione di Dawn (Vanessa Kirby– Pieces of a woman), la sorella di Bill, che fa perdere la testa a Percy, ma quando prestano servizio non rinunciano a far valere le loro convinzioni, suscitando l’ira dei superiori, il sergente Bradley (David Thewlis – Naked, L’assedio) e il maggiore Cross (Richard E. Grant – Copia originale).
Con Queen and Country, John Boorman conferma una vecchia regola, secondo la quale il lupo perde il pelo ma non il vizio. Così, si getta a capofitto in un romanzo di formazione giovanile, in quelle che dovrebbero essere le priorità di chi sta diventando uomo, dei doveri da assolvere obbligatoriamente nel nome delle istituzioni, per l’appunto la regina e la patria che compaiono nel titolo.
Il contrasto tra queste due disposizioni è macroscopico e scatena i principali impulsi che donano linfa al film, caratterizzandone i diversi orientamenti. Da un lato, i due protagonisti disegnano un’amicizia incrollabile e cercano di conquistare quell’amore che non hanno ancora conosciuto, dall’altro non accettano le rigide regole impartite dall’ordinamento militare, reagendo a una disciplina soffocante mediante atti eversivi.
Ne scaturisce un composto ribollente, esposto con infaticabile intraprendenza oscillando tra timbri leggeri e svolte drammatiche, con un montaggio che scandisce la progressione di gran carriera senza osservare – con coerenza al soggetto - le regole di punteggiatura, sbracciando tra vincoli e volontà, fiammate di ribellione e tentativi di repressione.
Un impasto disallineato, loquace e tagliente, che intercetta un riscontro positivo anche negli interpreti. Callum Turner e Caleb Landry Jones – due ottime convocazioni - formano una coppia affiatata e assortita, le eccellenze britanniche rimpinguano il contorno grazie all’esperienza di David Thewlis e Richard E. Grant, mentre a Vanessa Kirby bastano due sole scene per lasciare una traccia evidente della sua straripante esuberanza.
È così che un regista ultraottantenne abbraccia, con sentita partecipazione, le istanze dei giovani, le sfide che devono affrontare mentre diventano uomini. Tra stilettate irriverenti, riservate a un sistema che guarda ottusamente alla forma senza un minimo di comprensione verso la sostanza, e aperture impulsive rivolte alla scoperta della vita e dell’amore. Due aspetti da inseguire, che dovrebbero essere primari, sviscerati con un carico di energia, di voglia di fare e sbagliare, dispensati con un temperamento arrembante, uno spirito libero e contrappunti provenienti da notazioni cinefile.
Gagliardo e spettinato.
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