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La grande passione

Regia di Frédéric Auburtin vedi scheda film

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Enrique

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La recensione su La grande passione

di Enrique
4 stelle

In occasione dei campionati mondiali di calcio brasiliani la FIFA finanzia un progetto filmico “ibrido” sulla sua storia secolare (dalla fondazione ai giorni nostri), o meglio; su quella dei suoi più illustri presidenti: Jules Rimet (G.Depardieu), João Havelange (S.Neill) e quel “simpaticone” (dopo averla combinata grossa con i mondiali del 2022 in Qatar ha pensato bene di ricandidarsi alla poltrona) di Joseph Blatter (T.Roth).

Nulla da ridire, al riguardo, se non che, rebus sic stantibus, titolo e trailer del film, come al solito, mentono spudoratamente.

La scena d’esordio del film, a ben vedere, contestualizza il ruolo che, oggi, riveste il gioco del calcio in tutto il mondo. Il fulcro degli interessi ricreativi di grandi e piccini; di ragazzi e ragazze; di titolari e riserve; di centravanti ed estremi difensori; di “fantasisti” nel cuore, nella vita e (magari finanche) su un campetto polveroso che aspetta solo di essere solcato.

Ma, mentre, “oggi”, giovani di ogni nazionalità solcano i campi di tutto il mondo (quello ripreso nel film è altamente simbolico) alla rincorsa di un pallone (e, se possibile, almeno inconsciamente, di quegli ideali che il gioco del calcio esprime), “ieri” una squattrinata associazione di amatori (dello sport di specie) cercava di gettare le basi per la realizzazione del loro sogno. Istituire una sola federazione mondiale del gioco del calcio.

Ora, se il traguardo prefissatosi da quegli uomini è stato certamente raggiunto, può dirsi altrettanto per quello postosi dai produttori di questo film?
Risposta: “ni”…?

Ovvero: non proprio… ma, invero, dipende da cosa diavolo pensassero di fare lor signori.

Fra un’azione di gioco e l’altra, su quel campetto di calcio di cui sopra, l’annacquata scrittura del film diluisce, in poche decine di minuti, il valore delle imprese calcistiche, degli snodi cruciali e delle questioni più controverse che hanno attraversato quel lungo arco temporale che anticipa il presente della federazione.

Il primo piano sembra essere occupato dagli ideali di Rimet, dall’arrivismo di Havelange e dal cinismo di Blatter, ma il regista è bravo a trattenere le allusioni ad uno stadio embrionale (ergo, indistinguibile; ergo inutilizzabile ai fini di un tentativo di giudizio).
Così, mentre la prima parte beneficia di abbondanti iniezioni di retorica celebrativa (ma il J'accuse del film lambisce appena appena le ombre dell’autoritarismo nazi-fascista), nel suo prosieguo il film abbandona il tono da “epopea” classica ed inizia un dribbling sofisticato di tutte le grane che hanno interessato la FIFA (lasciate sistematicamente sullo sfondo, come pure risultati e successi delle diverse competizioni mondiali).

Tutto rimane artatamente camuffato nel torbido più innocuo e politicamente corretto. D’altronde - ripeto - la FIFA produce. E Blatter (tutto sommato) può ritenersi soddisfatto.

Risultato: 1-0 per i bambini con le gambe sporche di terriccio ed il sorriso stampato sul viso.
Ma il problema è che le regole le dettano i grandi (Blatter & co.). Ergo, altro che La grande passione
In conclusione, trattasi di una mediocre docufiction televisiva (ssiboni) sulla FIFA e sul calcio… e (nondimeno) su nessuno dei due. Un film superficiale, pressapochista e dalla trama sfilacciata in tanti rivoli narrativi slegati fra loro. Un film che non è né carne né pesce e che non dà soddisfazioni (beh, forse forse a qualcuno sì).

Insomma, la solita occasione ambiziosa (dunque ghiotta) miseramente sprecata.

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