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Una nuova amica

Regia di François Ozon vedi scheda film

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La recensione su Una nuova amica

di logos
7 stelle

Anche in questo film vengono a galla le tematiche care a Ozon, soprattutto quelle relative all’identità di se stessi e degli altri, la curiosità che si innesca di fronte alla presenza dell’altro e di come si ci si scopre differenti a se stessi nel rapporto con l’altro.

 

L’esordio ci racconto di un’amicizia indelebile tra due bimbe che prosegue fino alla giovinezza quando entrambi si sposano, Claire con Gilles, mentre Léa con David, con cui dà alla luce una graziosa bambina. La storia di questa amicizia tra Claire e Léa  girata, nell’economia del film, in un tempo brevissimo, ma quanto basta per mostrare l’intensità che le lega, con qualche punta di gelosia reciproca.

Il rapporto si spezza per la morte prematura di Léa, che lascia il marito David e la bambina Lucie.

 

La perdita di Léa lascia un vuoto incolmabile nell’amica, mentre il suo proprio marito e gli stessi famigliari di Léa cercano di ricomporre il dolore. Inoltre Claire si era ripromessa durante il funerale di assistere David e la sua bambina, ma non riesce a fare questo passo perché rientrare in quella casa e rivedere la bambina è un peso per lei ancora insopportabile, perché tutto le ricorda Léa. Ma un bel giorno compie quel passo, e scopre un David travestito da donna che accudisce sua figlia. Scioccata in un primo momento, decide di condividere il segreto con David e da qui nasce un viaggio di formazione di Claire che la porterà a confrontarsi con se stessa, con suo marito, con la sua identità femminile, con la sua rielaborazione del lutto di Léa, e tutto all’insegna di un rinnovamento esistenziale inedito, fondato sulla propria libertà di essere donna.

 

David infatti le mostra un nuovo modo di amare le donne. Se si traveste e si comporta come una donna è semplicemente per motivi più che sani, vale a dire per sentire ancora in sé la presenza di Léa, ma in particolare, immedesimarsi in una donna ed essere come una donna, significa per lui amare in modo viscerale il mondo delle donne: per David, sentirsi donna gli rinforza la passione di amare la donna, in tutta la sua interezza.David così finisce per essere la nuova amica di Claire, e da Claire viene soprannominata Viriginia; insieme vanno a fare shopping, e si comportano in modo da riattualizzare quell’amicizia femminile che Claire aveva perduto con la morte di Léa.

 

Il film è molto interessante su come tutto sembri girare intorno alle stranezze di David-Virginia, ma in realtà con questo pretesto Ozon mette a fuoco le identità univoche, apparentemente stabili, degli astanti, soprattutto quella di Claire, che di fronte a questa diversità finisce per attraversare una crisi sulla propria identità di donna e di moglie fedele. Infatti Claire passa attraverso determinati stati d’animo: di riprovazione nei confronti di David, che lo giudica come un perverso, nel senso che i suoi travestimenti sono soltanto il gusto del suo narcisismo, per piacere a se stesso e non per colmare la perdita di sua moglie; poi scorge in David, travestito da Virginia, la sua cara amica, ed esemplare diventa, in questo senso, il sogno in cui sfiora un amplesso con Léa, la quale, in un momento prima, le sembrava essere David-Virginia; infine inizia a sentire attrazione sessuale per David, ma non come David, ma come Virginia, al punto di scorgere una propria silente omosessualità. Tutti queste ambivalenze sono un vero e proprio stravolgimento del suo animo, perciò decide di chiudere per sempre con David-Virginia rimanendo fedele a suo marito. Ma oramai il gioco è fatto, non si può tornare indietro, Claire ha scoperto dentro di sé un nuovo modo di amare, e dovrà fare delle scelte liberatorie sulla sua vera identità di donna, per essere un’esistenza autentica.

 

Un film dolce, delicato, con diversi contraccolpi ad effetto, puntellato di ironia, molto elegante nel riprendere i mutamenti interiori e formativi della giovane Claire, nel suo rapporto con David-Virginia. Un film che ribadisce, ancora una volta, che l’identità, per essere se stessa, deve confrontarsi con la differenza, uscire dai propri margini dati per assodati, per riscoprirsi nelle sue ambivalenze e saperle accogliere, perché a reprimerle ci pensa già tutta una cultura omologante. Un’opera volutamente minimalista, che cerca di abbassare i toni sulle dirompenze politiche che un tema del genere poteva scatenare, e che dà poco spazio al dolore della morte di Léa. Intendiamoci, per un po’ se ne parla, ma è come se fosse solo un pretesto per precipitarsi nella sostanza del film: forse in questo caso ci voleva più gradualità; anche il finale diventa un po’ meccanico e precipitoso, ma al di là di tutto ciò resta una bella pellicola, che mette in bella mostra come un’esistenza sia sempre, in quanto tale, una possibilità, la cui identità non è un punto granitico basilare, ma una formazione ambivalente, che non sopporta classificazioni a priori, definite dai colori dell’azzurro o del rosa, dai cavoli o dai fiori, dal si o dal no, ma è innanzitutto apertura nella libertà del proprio essere se stessi.

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