Regia di François Ozon vedi scheda film
In sala, a fine visione, uno scambio di impressioni tra i pochissimi presenti:
-“le è piaciuto il film?”
-“direi di sì”
-“ce lo avrebbe visto, lei, Romain Duris nei panni di una bionda?”
-“ehm, a dire il vero non ho mai considerato l’eventualità, lo conosco per ben altri ruoli,
ma adesso che ho potuto appurare con i miei occhi direi che da travestito è praticamente
perfetto”…
Perché Una nuova amica è la storia di un giovane uomo il quale, in seguito alla perdita della sua amata moglie, come per una sorta di elaborazione del lutto, si veste, o meglio, torna a vestirsi da donna.
Esigenza che non ha mai represso e ha sempre soddisfatto fin dalla più tenera età, utilizzando gli abiti e i trucchi di sua madre. Nessun trauma infantile, nessun rapporto irrisolto con la figura genitoriale, ad animarlo è il semplice e cristallino desiderio di vedersi donna e di sentirsi tale, che riesplode incontenibile quando viene a mancare la sua dolce femminile metà.
Non è gay, e non si nasconde dietro un matrimonio di facciata.
Resta un maschio negli impulsi sessuali, gli piacciono le donne, forse le ama talmente da voler essere come loro, o almeno sposarne le apparenze.
L’identità sessuale definisce una persona?
Sì.
No.
Non completamente.
Quanto il sesso a cui apparteniamo può condizionare le nostre vite?
È giusto conferirgli l’enorme potere di organizzarci l’esistenza, permettere che da esso prescindano scelte e stili di vita, ruoli sociali e lavorativi, legami affettivi e amorosi?
Lasciare che influenzi finanche (e prima di tutto) il nostro guardaroba?
Attraverso l’identità sessuale, la società registra la nostra presenza e procede a catalogarci sotto una determinata voce; etichettandoci ci (ri)conosce, e (ri)conoscendoci ci mostra (implicitamente) la via da percorrere.
Ci rende controllabili, gestibili.
Disinnescandoci come potenziali mine vaganti, come pericoli per la stabilità del sistema e dei suoi delicati equilibri interni.
Ma chi sfugge a questa elementare catalogazione del tutto bianco e tutto nero, che non contempla grigie zone intermedie, perché in sé fa convivere in egual misura e con medesima intensità il lato maschile e quello femminile, resta ancora oggi un oggetto misterioso, un ‘problema’ sfuggente, più complesso rispetto a coloro che si dichiarano omosessuali, categoria attualmente ben definita, riconosciuta ed integrata nel tessuto sociale (secondo un discorso generale).
Rimane, di certo, un punto interrogativo a cui la società ancora non è preparata a rispondere.
E il nostro Romain Duris è colui che “nasce sotto i cavolfiori” perché in lui convivono pacificamente entrambe le sessualità, portandolo a ricoprire nei riguardi della propria bimba orfana di madre, il doppio ruolo di papà e di mamma, nello spirito e nell’aspetto.
Ma la morte, come ogni esperienza estrema e dolorosa, può essere il viatico per qualcos’altro, l’avvio verso una piena consapevolezza e concretizzazione di qualcosa di preesistente rimasto ad uno stato latente, che adesso necessita di uscire allo scoperto. Non di rado rappresenta l’emancipazione da invisibili catene che non si pensava potessero andare tanto strette ed essere così pesanti.
Diviene l’input per una rinascita che non si arresta a crescere.
Il punto di partenza di una metamorfosi che non contempla ripensamenti e passi indietro.
Un Ozon minore, forse, ma vibrante, che riprende gli intimistici toni del melò almodovariano e li raffredda appena un po’ così da permeare il suo ultimo lavoro di una soavità straniante capace di mantenerlo a debita distanza da un eccesso di realismo altrimenti feroce e devastante.
Un Ozon minore, forse, ma assai audace nell’illustrarci un racconto intrigante quanto spiazzante, dall’intreccio e sviluppi inattesi tali da calamitare l’attenzione e rafforzare la partecipazione visivo-emotiva dello spettatore.
Parte splendidamente per avvilupparsi in quello che crediamo un semplice eppure profondamente acuto nonché riuscito ribaltamento di ruoli tra maschio e femmina, e successivamente sfocia in altro ancora, di più radicale e compiuto.
Il suo è un canto libero alla Libertà, alla libera espressione di sé.
In grado di restituire la tragicità di vite che interrompendosi bruscamente scoprono di poter volare.
Come prima, meglio di prima.
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