Regia di Xavier Dolan vedi scheda film
Lui era stato crocifisso nel videoclip College Boy, girato da Dolan per gli Indochine. Ora è un giovane iperattivo, iroso, irruente come il cinema che ne accoglie i tumulti, un cinema che non vuole conoscer misura, che non vuol contenere lo strabordio delle emozioni. Lei è mommy, la madre che non è stata uccisa in J’ai tué ma mère, la donna sola che cerca d’accudirlo, che perde il lavoro, che è stremata dalla foga di lui, atterrita dallo sciacallaggio anaffettivo del mondo. L’altra, la donna che amava Laurence Anyways, è (ancora, dopo il film d’esordio) una professoressa, che qui non sa comunicare, ammutolita dal trauma per un figlio perduto. Sono un triangolo imperfetto, che sa trovare piccolissimi attimi di armonia sentimentale, in un’economia d’affetto che bilancia dare e avere tra i tre vertici: ed è in questi momenti che il formato dell’immagine 1:1, chiusa sui volti, adatta al ritratto e alla chiusura in se stessi, alle prigioni, s’apre al 16:9, per accogliere, e abbracciare, quanto mondo possibile. Cover matura del primo film di Dolan, è un mélo pop sfacciato e impetuoso, urgente e naïf, che gode e si strugge nel kitsch ma non riduce l’uomo a macchietta, che cerca con foga gioiosa l’invenzione del cinema ma sa essere racconto sanamente popolare. E un film meravigliosamente queer: perché cerca l’equilibrio d’amore fuori dalle forme canoniche, dai dogmi sociali, dai legami biologici, dal formato coppia.
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