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Babadook

Regia di Jennifer Kent vedi scheda film

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La recensione su Babadook

di Paul Hackett
6 stelle

La giovane vedova Amelia fatica a gestire l'aggressività e le morbose fantasie del figlio preadolescente Samuel: l'ultimo arrivato negli incubi del ragazzo è il mostro Babadook che preme per entrare (letteralmente) nelle vite dei due.

 

Del celebrato esordio della regista australiana Jennifer Kent, si potrebbero azzardare diverse interpretazioni in chiave psicanalitica, dall'evidente complesso di Edipo del ragazzino all'isteria della donna, passando per la presenza-assenza del padre, la cui morte prematura pesa come un macigno sul rapporto madre-figlio, caricando il secondo di sensi di colpa e la prima di una rabbia inconfessabile e, in questo senso, possibile che l'invero fumoso finale (tranquilli, non sto spoilerando) si riferisca alla necessità di elaborare il lutto e tenere a bada il "mostro" del rancore mai sopito? Parecchia carne al fuoco, quindi, anche se l'impressione è che in buona parte si tratti di fuffa: la (mia) verità (a ognuno la sua) è che Babadook è un sopravvalutato horror psicologico che attinge all'archetipo dell'Uomo Nero, all'estetica del cinema espressionista tedesco e alle possessioni di classici del terrore come Carrie e Shining, per affastellare un'ora e mezza di strilla e urlacci dei disturbanti (e bravissimi, per carità) protagonisti. Alla fine, l'unica cosa che funziona davvero e che s'imprime nella memoria è la riuscitissima caratterizzazione del babau (che, manco a dirlo, si vede pochissimo). Magnifico e realmente inquietante il libro pop-up che non si capisce bene da dove arrivi e che serve come motore della storia. Belle anche alcune atmosfere "sospese", soprattutto nelle scene in esterno, che sembrano rifarsi alle metafisiche ambientazioni australiane del primo Peter Weir.

 

Risicata sufficienza, strappata soprattutto grazie ai dettagli: 6/10.

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