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Babadook

Regia di Jennifer Kent vedi scheda film

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George Smiley

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La recensione su Babadook

di George Smiley
6 stelle

Babadook, film del 2014 diretto da Jennifer Kent e uscito in Italia ovviamente a 2015 inoltrato, è l’horror dell’anno: belin, allora è meglio se torno a guardarmi i film di Carpenter se questo è il meglio che viene offerto al giorno d’oggi in fatto di horror. Intendiamoci, Babadook parte da un’idea effettivamente sopra la media, la voglia di puntare sulla psicologia e analizzare una forma di disagio tipica della nostra epoca anziché sui soliti jumpscare che tanto piacciono ai ragazzini facilmente impressionabili è evidente, ma sono anche evidenti i limiti di questa pellicola (o forse sono io che non capisco una mazza, ma ho difficoltà a crederlo). La trama è buona, cruda, realistica, e ci viene presentata con toni volutamente drammatici e disperati: si tratta di una madre che vive una profonda crisi, avendo perso suo marito proprio la notte in cui nacque il loro unico figlio, classico ragazzino con seri problemi comportamentali (ma che, per la verità, appaiono fin troppo enfatizzati, producendo nello spettatore la strana voglia di sperare che gli accada qualcosa di molto moolto brutto, cosa che purtroppo non succede, what a pity) e verso il quale la madre prova, a livello inconscio, odio e insofferenza, ritenendolo responsabile della sua depressione. Gli spaventi non mancano, anche se concentrati nel secondo tempo, mentre il primo è dedicato come da manuale alla costruzione dei personaggi e al delinearsi dei loro rapporti (ma in maniera un po troppo fiacca e lenta, senza quindi interessare lo spettatore più di tanto), e l’atmosfera è inquietante e ben costruita. La parte migliore è sicuramente quella delle allucinazioni della protagonista, chiaro omaggio al cinema muto e ai film di George Melies, e il finale è decisamente azzeccato, ma sono da mettere in conto innumerevoli cadute di stile, con alcune scene che sfociano nel ridicolo involontario mentre dovrebbero essere drammatiche (mi limiterò a ricordare la scena girata nel distretto di polizia, con un dialogo decisamente idiota e ridicolo tra la protagonista, la quale sembra aver appena subito una lobotomia, e gli agenti, oppure quella della “possessione” del bambino, il quale fa venire voglia di tifare per Babadook e sperare che il tutto si trasformi in una carneficina alla Grand Guignol stile Dario Argento, cosa che purtroppo non è accaduta, con mio sommo dispiacere), oltre ad un maniacale citazionismo che dà più l’impressione di essere un espediente per attirare gli spettatori più navigati (dei quali io non faccio sicuramente parte). I due attori principali, Essie Davis e Noah Wiseman, ci mettono tutto l’impegno del mondo, ma non mi si venga a dire che sono fantastici, con lei che tiene pressoché la stessa espressione affranta con tanto di occhio vacuo per 89 minuti e il piccoletto che è più tranquillo quando è posseduto di quando in teoria dovrebbe essere normale. D’accordo il fatto che Babadook rispecchia il male che sta dentro di noi e che non può essere eliminato ma solo addomesticato, d’accordo il sottotesto sociologico, ma aver confezionato un horror in cui non si riesce o non si può provare empatia per i protagonisti per quanto sia voluto è una cosa imperdonabile e che danneggia irreparabilmente il risultato finale, il quale si salva grazie a delle buone trovate di regia e a un’atmosfera malata e opprimente in grado di elevarlo dagli altri (pessimi) horror che ci propinano. Un film dunque non insufficiente ma che non rivedrei, a meno di non venir retribuito, cosa di cui dubito assai.

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