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Babadook

Regia di Jennifer Kent vedi scheda film

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La recensione su Babadook

di ROTOTOM
9 stelle

BUH! Paura eh?

Viene dall’Australia il miglior film horror dell’anno e non solo. Babadook è qualcosa di più di un mero film di genere,  è  un’opera prima complessa e stratificata, scritta e diretta dalla già attrice Jennifer Kent che mette in scena la classica storia del babau, quello che si nasconde negli armadi e spaventa i piccini nelle loro cameretta sublimando le paure infantili in ombre minacciose e cigolii sospetti. Scherzi della fantasia, suggestioni che  mostrano sul grande schermo nero della paura, tutta la potenza dell’immaginazione umana.  Paure che si impara poi a superare in quel processo di crescita e maturazione che sospende l’immaginazione e la sostituisce con la triste, rassicurante razionalità adulta.

Peccato che a volte non sia proprio così.

scena

Babadook (2013): scena

Babadook, un mostro pop up che prende vita da un libro minaccioso e ricamato di immagini e filastrocche spaventose, si palesa ad una già di per se poco allegra famigliola composta da Amelia (Essie Davis) madre single, rimasta vedova proprio alla nascita del figlio Samuel (Noah Wiseman).
Una frattura insana che ha portato la morte proprio durante il miracolo della nascita, un’ombra scavata tra i due protagonisti psicologicamente deboli, aggredibili.  Soprattutto Samuel mostra sintomi di un disturbo della personalità che rasenta la schizofrenia sfiancando la già provata mamma ormai insofferente alle continue, deliranti, crisi nervose del figlio.

La storia di Babadook è semplice e terrificante. L’intrusione del mostro sempre più percepibile, sempre meno mimetizzato tra le ombre, nella frammentata e già orrorifica quotidianità della famiglia è subdola e pervasiva. E’ una materializzazione folle del terrore di vivere che i due personaggi affrontano tutti i giorni, una metafora vivente del profondo abisso emotivo entro il quale Samuel e la madre affondano rimpallandosi l’un l’altra il senso di colpa della loro condizione. E’ qui la forza di Babadook, così sottile e bidimensionale come una figurina pop up di un libro, si insinua nel horror vacui di Amelia, quella mancanza di figura maschile protettiva, paterna, e prende di mira, separandolo da essa, il prodotto del suo amore, proprio come la morte l’ha separato dall’amato marito.

La condizione drammatica della famiglia si dipinge di horror nella forza della messa in scena della regista che abbevera il suo cinema alla fonte delle suggestioni espressioniste per l’uso magistrale delle ombre, catalizzatrici della tensione drammatica e espressione appunto della psicologia devastata dei protagonisti, tanto da trasformare il film in un oscuro  kammerspiel  claustrofobico.  La gestione degli spazi rimanda invece a Polanski così che la casa da rifugio sicuro diventa una prigione ossessiva impregnata delle paure dei suoi occupanti.  Paure che non si possono sconfiggere ma solo imparare a tenere a bada e a convivere con esse.  E da qui la chiusa del film, allusiva, originale e a suo modo geniale.
Inquietante e in grado di instillare in un crescendo esponenziale una reale paura come pochi film riescono a trasmettere, Babadook fa sua la forza dell’immedesimazione dello spettatore nella condizione umana della madre alle prese con un figlio più che problematico, per poi inchiodarlo verso l’ineluttabile. Le paure dello spettatore coincidono con quelle dei personaggi,  la statura drammatica non è mai sottomessa al mero meccanismo dello spavento ma fa parte integrante di esso.  Il risultato è un horror psicologico di altissimo livello.

Noah Wiseman

Babadook (2013): Noah Wiseman


Tutto questo è possibile grazie anche alla strepitosa  performance del vero protagonista del film, Noah Wiseman  dotato di un’espressività e un controllo della performance da grande caratterista. E se il film di genere è fatto di facce giuste messe nel posto giusto, Noah, accidenti, riesce con uno sguardo a scatenare la più profonda delle angosce e mettere profondamente a disagio chi guarda. Smarrito nel suo personale Overlook, Samuel,  è in bilico tra la possessione demoniaca e il sacro terrore dell’innominabile che si palesa. Kubrick c’entra nella composizione delle inquadrature, pulite, simmetriche ricche di dettagli. Il solitario di Providence, H.P. Lovercraft  è sempre evocato quando qualcosa striscia nel buio.

E qualcosa nel buio, nonostante le rassicurazioni dei nostri genitori e dei genitori che seguiranno, generazione dopo generazione, striscia davvero. Babadook artiglia le paure infantili, le fa riemergere dall’oblio e le riporta alla superficie delle percezioni, ratificando quello che da bambini tutti sapevamo e speravamo di aver rimosso: il babau esiste.

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