Regia di Jennifer Kent vedi scheda film
Questa è la famiglia: Amelia è la madre, vedova dalla nascita del figlio, assistente sanitaria in un ospizio. Quando la sera, alla finestra, guarda l’amabile vicina di casa, sembra guardare se stessa, la sua futura solitudine. Samuel è il bimbo, iperattivo, iroso, stremante. Quando la donna è indaffarata, in cantina costruisce trappole per oscure presenze à la Mamma, ho perso l’aereo. E, se fa giochi di prestigio, come pubblico si crea un padre, con gli abiti del defunto. Due non è il numero perfetto. Toc toc: arriva il Babadook. Un libro che compare, pagine che raccontano di un mostro che bussa al focolare, filastrocche dell’orrore. Paura e delirio a seguire. È un film-malattia, quest’esordio clamoroso di Jennifer Kent, come recentemente lo sono stati Bug di William Friedkin e Take Shelter di Jeff Nichols, come lo è stato il loro inabissarsi accecante nella paranoia, il loro sfaldare la percezione: l’orrore qui è un rigurgito espressionista che distorce il reale, un sentimento rimosso che riaffiora con i connotati di un Nosferatu che sembra disegnato da Michel Ocelot, il frutto violento e taciuto dell’amore precario, che oscilla tra il rancore e il rimorso, di una madre per un figlio. Ai nostri occhi s’offre la lanterna magica di due anime abitate e ammorbate da ombre. È un kammerspiel psichico, Babadook. Un jeu de massacre di una donna con suo figlio, certo, ma, prima di tutto, con se stessa. Uno dei migliori film dell’anno.
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