Regia di Jennifer Kent vedi scheda film
Era da tanto tempo che un film di paura non mi faceva respirare certe atmosfere.
Amelia è la mamma di Sam. Il papà è morto in un incidente d'auto mentre accompagnava urgentemente Amelia all'ospedale, affinchè Sam nascesse. Amelia, indenne, non riesce ad amare Sam come vorrebbe; il suo amore materno è annientato, oscurato torbidamente dalla perdita del marito, e riversa il senso della perdita sulla nascita del figlio, trasformandolo in colpa.
Babadook è il personaggio nero di un libro animato, volgarmente chiamato "pop-up", una apparente fiaba innocente per bambini, ma è soprattutto la rappresentazione di questo dolore tra madre e figlio, dell'amore corrotto e perennemente fragile tra i due.
Una storia che può apparire banale, abusata nella letteratura e nel cinema, è immersa in una attenzione rara ai dettagli e alle atmosfere della provincia americana, tanto cara a Stephen King. Il provincialismo nella relazione con i vicini, le difficoltà a scuola con alunni e madri incomprensive, il falso candore di case immerse in colori tenui, di pareti spoglie, la paura del sottoscala e della cantina, luoghi tristemente magici ed orribili per la maggior parte dei bambini...
Ma non solo. La trasformazione di Amelia, l'insonnia che la intrappola nell suo inabissarsi nel buio più profondo, incapace dopo sei anni ad abbandonare il dolore della perdita del marito per rifarsi una vita, ricorda molto non solo le atmosfere dei romanzi di Shining e di Insomnia, ma c'è Nightmare che si unisce a Tim Burton, l'atmosfera onirica e fiabesca che a tratti ricorda Laughton, e alcune soluzioni tecniche di Shyamalan. Tutto raccolto in una realizzazione artistica molto curata. Il male si presenta nella penombra, alterna la sua consistenza tra il bidimensionale, l'onirico e l'incarnazione.
Babadook è la resurrezione, nostalgica, del grande horror d'autore.
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