Regia di Cédric Kahn vedi scheda film
Torna l'autore di Roberto Succo: uno che di personalità se ne intende eccome. E che sceglie appropriatamente il piglio nervoso e imprevedibile, apparentemente calmo nella sua fissità da rettile pronto ad attaccare, di un grande attore (e regista) francese come Mathieu Kassovitz per impersonare il controverso protagonista di una vicenda in realtà corale di una famiglia molto particolare: Paco, un uomo che rifugge la civiltà per seguire i ritmi e i tempi della terra e degli animali che alleva e rivende: che rifugge la proprietà privata scegliendo casolari abbandonati, roulotte fatiscenti in cimiteri di macchine, come dimore per se e per la propria famiglia: una moglie giovane dai capelli rasta e tre figli: due suoi ed il terzo solo di sua moglie avuto in una precedente unione.
Ma quando la moglie decide di abbandonarlo di nascosto, per evitare scenate da parte di un uomo risoluto ma anche pieno di scatti di ira difficili da contenere, lasciandolo solo e portando con le una prole poco convinta di lasciarsi alle spalle una vita incerta ma libera da doveri castranti come scuola e regole di convivenza sociale mai assimilati, scoppia una lotta ad accaparrarsi ognuno il favore dei figli.
Che si trovano costretti a seguire la madre, poi ci ripensano e fuggono dal padre, costretto dalla legge e lasciarli in affido alla madre; inutilmente perché almeno i due figli naturali si convincono a tornare dal padre, che con loro fa perdere le tracce di sé dandosi letteralmente alla macchia, contrabbandando animali e i frutti dell'allevamento di bestiame, abitando in vecchie cascine di pietra abbandonate da tempo da una civiltà che rifugge le fatiche per rifugiarsi nelle comodità più rassicuranti e banali degli aggregati urbani civilizzati.
Saranno alla fine i due ragazzi che, dieci anni dopo, cominceranno a sentire l'esigenza di fermarsi, di porre le basi per una esistenza che comprenda anche affetti ed amori che cominciano a presentarsi puntuali e naturali, agevolati da una prestanza ed avvenenza fisica che li rendono finalmente distinguibili da un anonimato durato troppo tempo.
Tratto da fatti realmente accaduti (e non si stenta mai a crederlo visto che la tensione narrativa procede di pari passo con l'intento cronachistico incalzante), Vie sauvage ha un piglio che sa tener desta l'attenzione e si avvale di un protagonista su tutti, Kassovitz ovviamente, uomo apparentemente qualunque, un Dustin Hoffman francese per piglio nervoso dentro una corporatura minimal, che sfodera qualità o caratteri che ne rinnegano le fattezze un po' standard o qualunque; una resa davvero eccezionale indispensabile a delineare un altro personaggio forte di una carriera sempre un po' sopra le righe o fuori della normalità.
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