Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film
Un recente sondaggio ha definito SHINING il miglior horror in assoluto, sai che scoperta si potrebbe commentare. Infatti qualsiasi genere toccasse Stanley Kubrick diventava oro, RAPINA A MANO ARMATA è un classico del noir poliziesco anni ’50, ORIZZONTI DI GLORIA un capolavoro sulla prima guerra mondiale, SPARTACUS un kolossal con l’anima dal fascino ancora intatto, LOLITA un dramma ancora attuale sulle perversioni e pulsioni sessuali, IL DOTTOR STRANAMORE una satira divertente e grottesca sulle ossessioni nucleari delle grandi potenze, 2001ODISSEA NELLO SPAZIO e ARANCIA MECCANICA due immensi capolavori ed esempi unici di cinema proiettato nel futuro ma con i piedi ben saldi nel presente. Con BARRY LINDON ha rivisitato il ‘700 anzi è il ‘700, gli ultimi due FULL METAL JACKET e EYES WIDE SHUT vanno al di là degli argomenti trattati. Quando a fine anni settanta il prode Kubrick lesse il romanzo di S.King pensò di portarlo sul grande schermo, alla sua maniera, trasformandolo e forgiandolo a sua immaginazione. Se la prendeva con calma, un anno di riprese e uno per il montaggio e per curare le edizioni destinate ai paesi stranieri, prima dell’attesa uscita nel maggio 1980. Preciso e maniacale in ogni dettaglio, perfido ed esigente fino all’esasperazione durante le riprese, riservato e diffidente con la stampa, aveva un rapporto privilegiato con la grande casa di distribuzione Warner Bros che gli permetteva tutto perché produttore e padrone delle sue opere e dello studio Pinewood di Londra in cui girava. In SHINING affronta un viaggio nelle tenebre insite nella psiche umana, nei meandri della follia, fin dal titolo che significa ”luccicanza”, il vedere oltre il conosciuto, potere che possiedono il piccolo Danny “Doc” e Hallorann il cuoco “negro” di colore. Il regista americano affronta territori finora inesplorati nel genere horror.
Jack Torrance è uno scrittore in crisi creativa che accetta con la moglie Wendy e il figlioletto Danny l’incarico di custode dell’Overlook Hotel per la chiusura invernale. Jack è al corrente che in passato il vecchio custode Delbert Grady impazzì e fece a pezzi moglie e due figlie e si sparò. Danny che parla con Tony, un amico immaginario, non vorrebbe andarci, il bambino vede già lampi dal passato: due bambine che si tengono per mano e un ascensore che vomita sangue. Raggiunto il grande complesso alberghiero ai tre vengono fatti visitare gli enormi saloni e le cucine in cui vivranno per cinque lunghi mesi di totale isolamento dal mondo esterno. Danny e il cuoco Hallorann entrano in simbiosi telepaticamente attraverso il citato shining, il piccolo chiede subito della camera 237 e lui lo invita a restarne lontano. Un mese dopo Danny si aggira nella sua automobile a pedali per i corridoi del grande albergo deserto (scena entrata nella storia grazie anche al primo utilizzo al cinema della steadycam, piccola cinepresa collocata sul go-kart), Jack lavora al suo romanzo, in una pausa osserva dall’alto il plastico del labirinto in siepi che si erge davanti all’Hotel e nello stesso momento Danny e Wendy vi si muovono giocando. A Danny intanto appaiono nuovamente nei corridoi le due inquietanti bambine gemelle che gli dicono: “Ciao, Danny. Vieni a giocare con noi? Per sempre…per sempre…”. Danny viene rassicurato dall’amichetto immaginario Tony ricordandogli che non sono vere ma sono come le figure di un libro. Intanto Jack rimprovera e caccia via in malo modo Wendy dalla sala in cui lavora, sono i primi sintomi di pazzia. Mentre gioca nei corridoi Danny viene raggiunto da una pallina proveniente dal nulla, incuriosito si incammina e trova aperta la camera 237, nel frattempo Jack ha un incubo e urla, Wendy si precipita da lui e arriva anche il figlio con il maglione strappato e dei segni sul collo. Lei accusa il marito di averlo ridotto così, ma Jack infuriato e incredulo vaga per l’albergo, fino a che giunge alla Gold Room, si siede al banco del bar e come alza lo sguardo dice: “Salve Lloyd. C’è poca gente stasera”. Il fantomatico barman gli domanda che cosa vuole bere e Jack: “Bourbon con ghiaccio…”. Danny ha raccontato alla madre che non è stato il padre a tentare di strangolarlo, ma una donna presente nella 237. Il piccolo atterrito e tremolante, tramite lo shining vede il padre entrare nella camera e abbracciare una donna nuda che si trasforma in una vecchia col corpo in decomposizione. Jack tornato da Wendy dice che non c’è nulla nella stanza, Doc vede la scritta REDRUM (anagramma di MURDER) nella porta. Il cuoco cerca di mettersi in contatto via radio con l’albergo, ma è isolato per le cattive condizioni climatiche, a Jack aumentano le visioni, beve il solito bourbon offertogli dal sempre più spettrale Lloyd: “Non vogliamo soldi da lei. Offre la casa. Ordini superiori…” e in un’atmosfera anni ’20 con sottofondo musicale incontra il vecchio custode Delbert Grady nelle vesti di cameriere che lo spiazza dicendogli che è sempre stato Jack il custode e non lui. L’untuoso e forbito Grady lo informa che il figlio “è un birbone e fa il possibile per inserire un elemento estraneo in questa situazione…a nigger, cook” (detto in modo sprezzante) e gli consiglia di prendere esempio da quello che ha fatto lui alle figlie e alla moglie. Jack spiritato smonta la radio, si aggira minaccioso con una mazza da baseball, Wendy intanto constata che cosa sta veramente scrivendo il marito, intere pile di “Il mattino ha l’oro in bocca”, Hallorann è in viaggio verso l’Overlook, Danny continua ad avere sinistre visioni. Jack e Wendy hanno un violento litigio sulle scale e lei lo colpisce con la mazza (tre settimane di lavorazione solo per questa scena) trascinandolo nella dispensa. Liberatosi Jack parafrasando la fiaba di Cappuccetto Rosso si finge il lupo cattivo e a colpi di ascia cerca di aprire la porta del bagno in cui Wendy fa scappare Danny da un piccolo finestrino, lei lo ferisce con un coltello e l’arrivo del gatto delle nevi di Hallorann lo distrae dall’azione. Ora anche Wendy terrorizzata vede i fantasmi macabri lì presenti, Jack dopo aver ucciso l’ex cuoco si dirige verso il labirinto dove è scappato il figlio, ma egli riesce a far perdere le tracce al padre e all’uscita incontra la madre e insieme scappano con il gatto delle nevi. Jack arresosi e distrutto dalla fatica cade a terra morendo congelato, una carrellata ci riporta all’interno dell’albergo fino a inquadrare una parete in cui sono appese delle fotografie: in una di queste del 1921, al centro del gruppo, riconosciamo Jack sorridente e ghignante.
Sogno, incubo e realtà si mescolano e si frappongono tra loro in questo cult-movie memorabile, incalzante e percorso dall’inizio alla fine da un irrefrenabile pathos di tensione e terrore allo stato puro. La forza di questa pellicola sta nel fatto che non è un horror qualsiasi che dopo averlo visto da piccoli, cresciuti non ha più senso rivedere perché non ci spaventa più, SHINING è completamente differente perché si presta a doppie chiavi di lettura psicanalitiche: i due Jack quello dell’80 e quello del ’21, Danny e “l’amico” Tony, le due gemelle, la scritta REDRUM al contrario, realtà e visionarietà, l’Overlook costruito su un cimitero indiano, lo shining di Danny e Hallorann, spavento e sarcasmo (tutte le scene al Gold Room con gli ectoplasmi Lloyd e Grady con scambi di battute british), la donna prima giovane e bella poi vecchia e mostruosa. Kubrick con sapienza geometrica e squadrata come gli interni e le inquadrature costruisce un mirabile horror dai virtuosismi tecnico-visivi d’avanguardia, tra le righe lancia uno sguardo impietoso sulla crisi della famiglia e sugli imminenti anni ottanta americani. Nel brevissimo speciale girato dalla figlia Vivian si intravede la determinazione, il cinismo e l’alta professionalità del padre Stanley, la povera Shelley Duvall costretta a stare in perenne stato di agitazione (numerosi furono gli svenimenti per lo stress), il sulfureo e spensierato Jack Nicholson che fischietta e scherza con la troupe armato solo del suo immenso talento. Kubrick era geniale anche nella scelta originale delle musiche, Gyorgy Ligeti e Bela Bartok, le ironiche canzoni degli anni venti inserite ad hoc come in tutti gli altri precedenti lavori. Perfezionista persino nella scelta dei curatori per le traduzioni e per i doppiatori di ogni singola nazione, nel nostro paese ha sempre utilizzato Riccardo Aragno per i dialoghi e Mario Maldesi per la direzione del doppiaggio, da ricordare almeno le indimenticabili voci di Giancarlo Giannini (Jack) e Gianni Bonagura (D.Grady). Nella settima arte un genio di tale fattura probabilmente non tornerà mai più.
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