Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film
Il film comincia in modo distensivo e rassicurante, con Nicholson sorridente al colloquio di lavoro e l’Overlook Hotel ancora affollato di personale nel giorno della chiusura (per inciso, è impressionante la varietà di significati che ha il verbo “overlook”: guardare dall’alto, trascurare, tollerare, ispezionare, gettare il malocchio); ma Kubrick è abile nel disseminare germi di inquietudine: il racconto del fatto di sangue di qualche anno prima; la stanza dove è proibito entrare, come nella casa di Barbablù; la struttura labirintica dell’albergo, duplicata da quella dell’alta siepe all’aperto. Così la tensione a poco a poco sale, mentre Nicholson gigioneggia, conversa con baristi inesistenti e scrive all’infinito “Il mattino ha l’oro in bocca”. Qualche riserva sugli elementi più propriamente splatter (la fiumana di sangue, il cadavere della donna in vasca da bagno, il cameriere con la testa spaccata che dice “bella festa, eh?”): le situazioni reali erano già abbastanza terrificanti, inutile rincarare la dose con effettacci. Inoltre non c’era bisogno di attribuire al bambino facoltà paranormali per fargli capire che qualcosa non andava: anzi, forse presentarlo come un ‘diverso’ risulta leggermente controproducente. Invece Shelley Duvall con la faccia spaventata appare l’unica persona normale della famiglia, l’unica con cui si simpatizza istintivamente.
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