Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film
Il cinema di Stanley Kubrick è la Visione, che spacca lo schermo come la buccia di un frutto maturo. Il suo obiettivo è un cristallino limpidissimo ed acuto che coglie, con pari nitidezza, tutto ciò che è visibile all'occhio e alla mente. La vista è la nostra fonte primaria di scoperta della realtà e di creazione della fantasia, di percezione sensoriale e ad allucinazione onirica. Tra i cinque sensi si distingue per complessità ed immediatezza: ecco perché l'essenza della poetica di Kubrick è racchiusa nell'Immagine, che tutto rivela e nulla nasconde; che è immobile, ma anche, e soprattutto, soggetta a movimenti e trasformazioni. Infatti, in film come "Shining" o "2001: Odissea nella spazio" è la sua evoluzione a costruire i concetti, travalicando, il più delle volte, le leggi temporali, per dispiegarsi, invece, secondo le fasi di una scansione analitica. Il risvolto artistico di questo dinamismo è una coreografia a base di profondità prospettiche, ritmi geometrici, costellazioni di luci ed ombre, acrobazie di riflessi. D'altronde ogni racconto è insieme una ricerca e un'avventura, e, quindi, in ogni caso, un viaggio. Il gioco dei contrasti ed il cambio di angolazione arrecano tensione e varietà, ma servono anche a farci guardare alle cose in modo diverso, e quindi più completo. "Shining" sollecita un'indagine da parte dello spettatore, che lo porti a individuare, nei pensieri e nelle azioni di Jack e Danny, i confini tra normale, anormale e paranormale. Lo scopo non è quello di rassicurarlo con chiarificazioni, bensì di sfidarlo a riconoscere, nelle componenti psichiche della storia, le parti di un unico disegno mentale, accettando che non tutto potrà essere compreso. La conclusione sarà, infatti, che il mosaico risultante non si può distendere sulla realtà, perché, per chiuderlo, occorre sollevarne i lembi e farli combaciare in una dimensione superiore. La soluzione dell'enigma è una sorta di ipersfera di cui possiamo cogliere solo una proiezione parziale, una mappa appiattita in cui i vari livelli si sovrappongono. Diventa così impossibile darne una lettura coerente, se non sotto la particolare "luccicanza" dello "shining".
Semplicemente straordinario.
L'immagine, in "Shining" è sempre chiarissima, quasi innaturalmente vivida, carica di una luminescenza che, prodigiosamente, esalta le forme pur annullandone i contorni, come in un quadro in cui le forme di fondono, e il qui e l'altrove sono una cosa sola. Il contenuto è, quindi, quasi sempre intraducibile in parole, ed è questa magica peculiarità che, sbarrando la strada al didascalismo e al descrittivismo, e sbarazzandosi della consequenzialità, inventa un genere di storia inattaccabile dalle altre forme di espressione artistica, e sul quale il Cinema può, finalmente, vantare l'esclusiva.
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