Regia di Herbert Ross vedi scheda film
Prendete il detective più famoso della Londra vittoriana, dategli una dipendenza alla cocaina assunta in soluzione salina al 93% e sostanza tossica al 7%, descrivetelo come un uomo che ha perso il controllo ed è ossessionato da un misterioso trauma infantile trasfigurato nel mite matematico professor Moriarty, prendete poi il suo fedele aiutante che per farlo riabilitare lo conduce con uno stratagemma a Vienna per sottoporlo alle cure del padre della psicanalisi, condite il tutto con una trama investigativa classica ed una ricostruzione d'epoca minuziosa e otterrete "Sherlock Holmes. Soluzione settepercento".
La brillante idea di far coabitare nella stessa avventura la coppia fittizia Holmes - Watson in collaborazione con il verissimo Sigmund Freud la si deve a Nicholas Meyer che svilupperà questa ottima intuizione in maniera anche più riuscita nel successivo "Time after time" con Malcom McDowell da lui stesso diretto.
L'anomala avventura di Sharlock Holmes firmata da Ross parte con l'effetto sorpresa saltando da un protagonista all'altro: Watson è il primo aggancio per lo spettatore che lo segue nella sua visita al vecchio amico stravolto dalla droga nel corpo e nella psiche, Duvall è un po' troppo anonimo nei panni del mite Watson e non fa una gran figura mentre Nichol Williamson è come sempre favoloso ma non sale in cattedra fino alla disintossicazione organizzata e prescritta dal dottor Freud, un discreto Alan Arkin che da il meglio di se nella curiosa partita a squash contro il solito antipatico Jeremy Kemp, è bello osservare come veniva praticato questo sport nel secolo scorso, un ibrido con il tennis indoor.
I tre protagonisti sono quindi su tre gradini del podio differenti ma la trama si sofferma ovviamente su Holmes nella seconda parte ed è un pregio perchè come detto Williamson è in grande forma e risolve con bravura anche la lunga sequenza finale sui treni a vapore che sembra prendere in prestito la trovata del battello a corto di combustibile vista ne "Il giro del mondo in ottanta giorni", ma a sua volta il film in questione ha secondo me il grosso pregio di aver dato l'ispirazione a Danny Boyle per la sequenza della crisi di astinenza allucinata di Mark Renton in "Trainspotting": le molte inquadrature sghembe sul volto madido di sudore di Williamson, i serpenti attorcigliati nello schienale del letto e il soffitto che sembra abbassarsi su di lui mi hanno riportato rapidamente alla famosa sequenza del film di Boyle di parechi anni dopo e credo che anche Ewen McGregor abbia osservato con attenzione la prova molto convincente di Williamson che sgrana gli occhi prima di esplodere su un piatto di lombrichi, davvero una sequenza molto ben diretta montata e recitata.
Il primo tempo con il viaggio a Vienna e l'interazione dei protagonisti con Freud è senza dubbio la parte più originale ed interessante, il secondo tempo è un indagine di stampo classico con qualche passaggio inefficace, vedi la scena del bordello e la strana trappola dei cavalli bianchi, si riscatta con il movimentato finale arricchito dalla presenza della Redgrave che è sempre uno spettacolo da ammirare per la sua naturalezza nelle vesti di Madame Devereaux che ovviamente verrà salvata dall'intervento dei nostri eroi.
Il finale è raddoppiato: giusto svelare l'ossessione di Holmes, gratuita la sorperesa sul vaporetto.
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