Regia di Roy William Neill vedi scheda film
L’artiglio scarlato (The Scarlet Claw), l'ottavo film della serie di Sherlock Holmes con Basil Rathbone & Nigel Bruce, è uno dei più salienti della serie ed è da molti critici considerato addirittura il migliore, ma non è basato su una specifica storia di Sir Arthur Conan Doyle in quanto una storia originale scritta da Paul Gangelin & Brenda Weisberg, al loro primo (e unico) lavoro per la seria della Universal, successivamente adattata per il grande schermo da Roy William Neill & Edmund L. Hartmann.
Paul Gangelin era noto per aver scritto storie western e noir ma anche prodotto diverse parodie cinematografiche, lavorando molto anche per la televisione, ma la sua opera più importante è stata probabilmente Trigger, il cavallo prodigio (My Pal Trigger, 1946) con Roy Rogers seppur molti lo ricordano soprattutto per il più pleonastico classico di serie B Il mostro dei cieli (The Giant Claw, 1957) in cui un gigantesco uccello dallo spazio terrorizza la Terra.
La sua co-sceneggiatrice, Brenda "Goldie" Weisberg era invece un'immigrata russa ebrea cresciuta in Arizona e ha passato quindici anni a scrivere storie per la Universal, a Hollywood, prima di tornare a Phoenix e dedicarsi al teatro e, in quel periodo, era famosa per le sue sceneggiature di film noir e horror di serie B.
The Scarlet Claw sembra avere una risonanza significativa con Il Mastino dei Baskervilles, avventura tra l’altro menzionata dal Dott. Watson direttamente nella pellicola (e teoricamente accaduta sul finire del secolo precedente).
Seppure non sia ufficialmente accreditato come un adattamento di quella specifica storia, le atmosfere e l'ambientazione del villaggio in una campagna remota e la misteriosa inquietudine di crescente paura e di incertezza degli abitanti la riportano sicuramente alla mente (il merito di questo è soprattutto del direttore della fotografia George Robinson, anche lui al suo primo e unico lavoro per la serie dell’Universal) come anche il riferimento alla vernice fosforescente del “fantasma” arriva direttamente da racconto di Doyle.
L’atmosfera cupa e l’uso di luci (e ombre) e della macchina da presa richiamano invece i primi film horror di James Whale.
La scena iniziale nel pub del villaggio, infatti, riprende l’incipit del suo L’uomo invisibile e, successivamente, la scena di Watson al bar mentre discute di misteri con la gente del posto citando i romanzi polizieschi di GK Chesterton con protagonista Padre Brown, esplicitamente il racconto intitolato proprio L'uomo invisibile (racconto che, tra l’altro, contiene di per sé un indizio fondamentale nel comprendere l'identità dell'assassino in L’artiglio scarlatto) non sembrano affatto essere delle mere coincidenze quanto implicito omaggio alle influenze che ne hanno indirizzato il lavoro.
Anche per questo The Scarlet Claw più che un semplice film giallo assume molte delle caratteristiche del genere horror realizzati dalla stessa Universal proprio in quel periodo (non mi sorprenderebbe se avessero usato anche alcuni degli stessi set, era già stato fato in passato) e la storia e il mistero risultano sorprendentemente complessi oltre che anche vagamente espliciti (bisogna sempre tener conto che si era comunque ancora soggetti al codice Hays).
E sebbene saldamente ancorato all'universo razionale e morale di bene contro male di quegli anni, The Scarlet Claw riesce a regalarci comunque qualche accattivante sorpresa: un assassino maschio trasformista che travestito da anziana governante in una vecchia casa isolata usa con violenza un utensile affilato su una vittima indifesa (anticipando di più un decennio un’altra pellicola Universal chiamata Psycho) e una certa cupezza da incubo soprannaturale (oggigiorno The Scarlet Claw verrebbe realizzato e venduto come un film su un serial killer alla Michael Myers) e uno Sherlock Holmes inaspettatamente fallibile (l’assassino colpisce praticamente in sua presenza senza che riesca minimamente a intervenire), ovviamente la telecamera non ci mostra mai alcun sangue ma si sofferma spesso sull'arma del delitto (un raccapricciante sarchiatore da giardino a cinque punte) lasciando il resto all’immaginazione dello spettatore (inoltre si fa più volte esplicito riferimento alle gole squarciate delle vittime).
Ancora più inquietante è poi l'omicidio della giovane Marie Journet, uccisa perché si rifiuta di tradire il padre ed ennesimo fallimento di Holmes che, giustamente, se ne assume la colpa. Questa povera ragazza maltrattata non fa assolutamente nulla di sbagliato, e secondo il suddetto codice Hays non dovrebbe patire quindi alcun male, eppure muore, uccisa selvaggiamente mentre i locandieri della taverna del padre si dilettano in canti e gozzoviglie varie.
Poiché nessuna delle azioni si svolge a Londra, questa volta l’Isp. Lestrade e la signora Hudson non compaiono (ed è uno dei pochi film in cui non appare, anche solo brevemente, sullo schermo). Rathbone & Bruce, al solito, sono una vera delizia e sebbene Watson vada decisamente contro quello molto abile e giudizioso dei libri è comunque così simpatico e generoso che lo si può perdonare facilmente.
L’antagonista è interpretato da Gerald Hamer che offre una performance magistrale in entrambi i ruoli, sia come Potts che come Tanner, riuscendo a renderli abbastanza diversi indipendentemente dai travestimenti. L’attore tornerà poi anche in Destinazione Algeri.
Completano il cast Paul Cavanagh, Arthur Hohl, Miles Mander, Kay Harding, David Clyde, Victoria Horne e Ian Wolfe, che torna dopo Sherlock Holmes a Washington mentre, in seguito, apparirà anche in La perla della Morte e Il mistero del Carrilion.
La scena finale in cui Holmes cita nuovamente Winston Churchill sul ruolo del Canada come alleato degli Stati Uniti e della Gran Bretagna sembra un po’ maldestra e fuori luogo, non avendo niente da condividere con l’indagine del momento, ma bisogna ricordare che il film è stato comunque prodotto quando si era ancora durante la Seconda guerra mondiale.
Nonostante tutto, questo film non mi ha mai convinto del tutto. La trama non è poi così interessante o sembra avere un arco narrativo veramente coerente, sembra semplicemente vagare tra gli eventi senza mai seguire un qualche filo conduttore tanto che i vari colpi di scena sembrano costruiti più per giustificare certe scelte narrative che non corroborare piuttosto un qualche schema.
Il cattivo, nonostante sia magistralmente interpretato, non sembra avere alcuna motivazione al di là del desiderio di vendicarsi di qualsiasi altro personaggio a caso della pellicola, coerentemente o meno con lo sviluppo della trama.
VOTO: 6,5
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