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The Repairman

Regia di Paolo Mitton vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su The Repairman

di alan smithee
7 stelle

Una commedia tenera e scanzonata immersa nel teatro naturale delle Langhe, entro un contesto paesano in cui tutti sanno tutto degli altri e nessuno ama farsi i fatti suoi o evitare di dispensare consigli.

Capita di rado che il cinema italiano ci regali simili gradite sorprese (“Zoran mio nipote scemo” di Oleotto, forse fu l’ultima occasione, se non si conta il notissimo e fortunato “Lo chiamavano Jeeg Robot”, uno dei pochi esempi in cui un’opera innovativa e originale riesce ad avere il riscontro che merita anche tra il pubblico dei fruitori di cinema)), dunque meglio gustarsele e farne tesoro.

Scanio, senza la A, è un giovane impacciato, comicamente insicuro e goffo, dotato di grandi capacità ed intuizioni manuali: un ingegnere mancato, dato che abbandonò la facoltà al primo anno dopo la morte del padre.

Senza parenti se non un affettuoso ed ironico zio panettiere che lo sfama puntualmente senza farglielo pesare, il ragazzo vive in una vecchia casa di una vedova che gli pratica un prezzo di favore a patto che lui non tocchi nulla degli oggetti di quel vecchio museo, ed allevi con amore un criceto a cui la donna non vuole cambiare habitat.

Scanio, che per vivere ripara oggetti di ogni tipo usufruendo di pezzi di ricambio che trova nella casa-cimelio in cui vive, ci racconta tutto, o quasi, il suo ultimo anno di vita mentre ad un corso per il recupero dei punti della patente persi di recente, egli dovrebbe semplicemente raccontare la dinamica che lo ha indotto alla contravvenzione.

Ne scaturiscono i dettagli, succosi, divertenti e scanzonati, a volte tragicomici, di un ragazzo onesto che stenta ad adattarsi al cinismo dilagante di chi si sente realizzato attorno a lui e si permette di impartirgli consigli e massime di vita.

Per fortuna sua, Scanio troverà l’amore in una dinamica e tosta ragazza inglese scesa nelle Langhe per presentare alle aziende locali una nuova tecnica di gestione del personale.

Nonostante le fissazioni del giovane, assieme al quale convivere si dimostra veramente difficile e laborioso, la vita saprà riservagli quella serenità che a tutti gli altri amici, invidiosi e maliziosamente disonesti, manca da tempo, celata dietro un falso appagamento ricavato dall’ostentazione dei propri piccoli successi quotidiani.

Insomma un “repairman” contro la pochezza e la stupidità del mondo circostante, maniacale ben più di lui e delle sue innocue fissazioni.

Piccolo film delicato e schietto, girato con molta professionalità dall’esordiente nel lungometraggio Paolo Mitton ed interpretato da attori giovani ancora poco noti, ma tutti bravi e credibili, che evitano sussurri o voci tendenziosamente impostate e quindi in grado di restituirci ritratti di personaggi certo eccentrici e al limite, ma per nulla caricaturali.

Validi anche i personaggi di contorno, dallo zio panettiere (strepitosamente ironico ma pure affettuoso, a suo modo) all’insegnante di scuola guida.

Un film, questo di Mitton, che si addentra all’interno di una realtà locale che il cinema italiano spesso dimentica o tralascia, o non riesce a rappresentare in modo adeguatamente credibile, nonostante la vena surreale che traspare dalla storia e dalle singole situazioni che la compongono. Insomma una pellicola che avrebbe meritato ben altra distribuzione in sala, avendo le carte in regola per piacere al grande pubblico senza sconfinare nella banalità o nella pochezza con cui si costruiscono molti capisaldi dell’incasso sicuro.

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