Regia di Paolo Mitton vedi scheda film
Scanio vive con lentezza. Ha un volto simpatico, una camminata buffa e un’attitudine che nasconde male la sua inadeguatezza verso il mondo circostante e verso gli amici che lo vogliono più attivo, o lo spingono a darsi al sesso. Vorrebbe essere lasciato in pace e dedicarsi al suo talento irrisolto: aggiustare oggetti meccanici. D’improvviso perde il lavoro come riparatore di macchine del caffè, ma trova l’amore di una giovane inglese, anche se non sembra accorgersi di entrambi i fatti, ossessionato dalla costruzione di uno strumento che allontani le onde elettromagnetiche e affievolisca la sua insonnia. Opera prima fluttuante e riflessiva, volutamente inerte, senza grida e strizzate d’occhio. In cerca di se stessa come il suo protagonista. The Repairman (perché questo titolo in inglese, che evoca anche suggestioni da thriller sinistro?) è la biografia di un outsider assoluto costruita come un flusso di coscienza per capitoli tematici, con un minimalismo narrativo che guarda al cinema dello straniamento lunare a stelle e strisce. Però ha uno sguardo diverso e sincero ed è un bell’elogio del vivere fuori dagli argini della frenesia, abile a schivare le trappole della sociologia spicciola e pedante. Tentazione che condiziona anche la messa in scena, pigra e adagiata sulla solita, ossessiva voce off: un espediente abusato di cui troppo cinema italiano non riesce proprio a liberarsi.
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