Regia di Gordon Parks vedi scheda film
Capostipite fino ad un certo punto? Vediamo. C’e stato Sidney Poiter, c’è stato l’ispettore Tibbs, mica pizza e fichi. Però, c’è un però. Shaft è tutt’altra cosa rispetto al mansueto e determinato Tibbs. Ha una rabbia allegra che si porta dentro, spara con la durezza degli emarginati che vogliono riscattarsi dopo la persecuzione ingiustificata. È la dimostrazione carnale dell’uguaglianza tra gli uomini (tanto per farlo capire a chi ancora non l’avesse compreso…): il cinema è per tutti, neri o bianchi non importa, non deve importare. Nonostante abbia dato vita ad un genere che di lì a poco avrebbe dilagato, dando origine anche a curiosi o discutibili prodotti (quella sorta di corrente chiamata blaxploitation, non a caso contestata dagli artefici del fenomeno) – quello dei film fatti da afroamericani per un pubblico di afroamericani –, è un film ecumenico che si rivolge tutti perché le regole del thriller e dell’action movie sono le stesse, qualunque sia la razza etnica dell’autore. Shaft è un detective come tanti che deve espiare i pregiudizi sui neri, e incarna per questo tutte quelle caratteristiche essenziali che contraddistinguono i detective: la curiosità, i modi spicci, l’intelligenza, la prestanza. Forse è anche grazie a robusti ed onesti film come Shaft che il rifiuto del razzismo si è diffuso nella popolazione americana, è anche per merito di Gordon Parks (anch’egli di colore) se oggi possediamo un po’ più di civiltà. Peccato che, troppo spesso, si dimentichino certi principi. Si veda Shaft proprio oggi, mentre un uomo di colore si presenta come “the change” per restituire l’orgoglio ad un paese ferito. E mentre dilaga, tra noi italiani, quel tragico ed insopportabile spettro dell’intolleranza razziale. Seminale e da rivedere.
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